Lo iodio-131 – un importante isotopo radioattivo dello iodio – è uno dei fattori principali di rischio per la salute risultante dagli eventi nucleari altamente contaminanti, come sappiamo dalle esplosioni nucleari atmosferiche degli anni Cinquanta, oltre che dal disastro alla centrale nucleare di Chernobyl.
Questo perché lo iodio-131 è uno dei prodotti principali della fissione dell’uranio, del plutonio e indirettamente del torio. A causa della sua modalità di decadimento beta, lo iodio-131 è estremamente tossico in caso di contaminazione interna o cutanea, andando a danneggiare le cellule che riesce a penetrare. Inoltre, seguendo il metabolismo dello iodio, a seguito di contaminazione interna andrà a fissarsi nella tiroide, causando dopo alcuni anni un incremento dei tumori alla tiroide.
In realtà, paradossalmente, alte dosi di radiazioni da questo isotopo sono spesso meno pericolose rispetto a quelle basse, dal momento che tendono a uccidere i tessuti tiroidei che altrimenti andrebbero incontro a mutagenesi ed in seguito a sviluppo del cancro. Si pensa che dosi molto piccole di iodio-131 ricevute accidentalmente – molto superiori a quelle usate nel trattamento medico – siano la maggiore cause dell’incremento dei tumori alla tiroide dopo contaminazione nucleare accidentale.
Il rischio può essere mitigato assumendo integratori di iodio, incrementando così la quantità totale di iodio nel corpo e dunque riducendo l’assorbimento e la ritenzione nei tessuti e abbassando, di conseguenza, la proporzione relativa dello iodio radioattivo. In pratica, un comune metodo di profilassi per la prevenzione dell’esposizione allo iodio-131 è quella di saturare la tiroide con l’isotopo di iodio più comune in natura – lo iodio-127 (non radioattivo) – somministrandolo come ioduro.
La iodioprofilassi è un’efficace misura di intervento per la protezione della tiroide al fine di prevenire gli effetti deterministici e di minimizzare gli effetti stocastici nei gruppi sensibili della popolazione, purché venga attuata tempestivamente (da alcune ore fino ad un giorno prima dell’esposizione o al massimo entro le prime 6-8 ore dall’inizio dell’esposizione). Inoltre, il rischio di effetti avversi alla somministrazione di una dose singola di iodio stabile è molto piccolo per tutte le classi di età.
D’altra parte, cosa può accadere se non si interviene con la iodioprofilassi lo si è visto molto bene sulla pelle della popolazione che viveva vicino alla centrale di Chernobyl, cui questi integratori non furono distribuiti (lo furono invece in Polonia), nonché negli Stati Uniti, dove alte dosi di iodio-131 furono assorbite durante gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta dai bambini che consumavano latte fresco ed i suoi derivati, contaminati come risultato dei test atmosferici di bombe nucleari fatti in Nevada.
Pertanto, nel 1999, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiornato le sue Linee Guida sulla iodioprofilassi, tenendo conto sia del significativo eccesso di tumori alla tiroide osservati dopo l’incidente di Chernobyl soprattutto rispetto a quelli attesi nella popolazione infantile, sia dei risultati positivi dell’esperienza della iodioprofilassi su larga scala effettuata all’epoca dell’incidente di Chernobyl in Polonia (17 milioni di dosi distribuite, di cui 10 milioni ai bambini).
In tale documento, l’OMS propone dei livelli di riferimento di dose per l’adozione della iodioprofilassi distinti per gruppi di popolazione, in quanto il rischio di induzione del tumore alla tiroide da iodio radioattivo è dipendente dall’età al momento dell’esposizione: la classe di età 0-18 anni risulta quella a maggior rischio di effetti dannosi, mentre tale rischio si riduce sensibilmente negli adulti e tende ad annullarsi oltre i 40 anni di età. Inoltre, esiste una maggiore radiosensibilità della tiroide in alcune condizioni fisiologiche, come l’allattamento e la gravidanza.
In particolare, viene raccomandato il livello di riferimento di 10 mGy di “dose evitabile” (cioè la dose efficace o la dose equivalente che viene evitata) alla tiroide per neonati, infanti, bambini e adolescenti fino a 18 anni, donne in gravidanza ed in allattamento. Il livello di riferimento sale a 100 mGy per gli adulti con meno di 40 anni, ed a 5 Gy di “dose proiettata” (suscettibile di produrre seri effetti deterministici in un intervallo di tempo inferiore a due giorni) per gli adulti con più di 40 anni.
Livelli di riferimento di dose consigliato dall’OMS per l’introduzione della iodioprofilassi (dal “Piano Nazionale contro le Emergenze Radiologiche”, 2010).
Secondo le simulazioni dell’ISPRA, nel caso di incidente in una centrale nucleare confinante con il territorio italiano – ad esempio, nell’impianto sloveno di Krsko o francese di St. Alban – e conseguente diffusione di una nube radioattiva su anche solo una parte del nostro territorio nazionale, il fallout radioattivo causerebbe nelle zone interessate una contaminazione per la quale sarebbe da considerare l’eventuale adozione di misure protettive di riparo al chiuso e di somministrazione di iodio stabile.
In pratica, su alcune aree delle regioni del Nord e del Centro-Nord d’Italia più prossime all’impianto interessato dall’ipotetico evento incidentale, le dosi efficaci da inalazione risulterebbero pari ad alcune unità di mSv, mentre la dose equivalente alla tiroide risulterebbe pari ad alcune decine di mSv. E la deposizione al suolo di radionuclidi, in alcuni casi, raggiungerebbe valori di 10 milioni di Bq/mq, tali da richiedere il controllo radiometrico delle matrici alimentari su estese zone d’Italia.
Pertanto, in tale caso, una tempestiva iodioprofilassi tramite distribuzione – d’intesa con il Ministero della Salute – di iodio stabile nelle aree interessate, permetterebbe di evitare alcune unità di dose efficace ed alcune decine di mSv (millisievert) di dose equivalente alla tiroide. I valori di esposizione, infatti, si collocherebbero nell’intorno dei livelli inferiori di intervento per i quali l’apposito allegato al D.Lgs. 230/95 (e successivi) indica di prendere in considerazione l’eventuale adozione della iodioprofilassi.
Difatti, la Tabella A dell’allegato XII del D.Lgs. 241/2000 fissa il livello di intervento per la somministrazione di iodio stabile – come misura protettiva della tiroide in caso di emergenza radiologica – compreso in un intervallo che va da alcune decine ad alcune centinaia di mSv (milisievert) di dose efficace. Il valore inferiore, in particolare, rappresenta il livello di dose evitabile al di sotto del quale non si ritiene giustificata l’adozione di tale contromisura, mentre il livello superiore rappresenta quello al di sopra del quale l’introduzione della contromisura dovrebbe essere garantita dalle Autorità competenti.
Il “Piano Nazionale delle Misure Protettive contro le Emergenze Radiologiche” (2010) – un documento scaricabile dal sito della Protezione Civile – in linea con quanto raccomandato nelle Linee Guida dell’OMS, propone di adottare per gli individui fino a 18 anni, per le donne in gravidanza ed in allattamento un livello di intervento di 10 mSv di dose equivalente evitabile alla tiroide, e per gli adulti (età > 18 anni) un livello di intervento di 100 mSv di dose equivalente evitabile alla tiroide.
Come spiega il Piano, però, “somministrazioni tardive presentano profili di efficacia molto modesti, ed è addirittura possibile che una somministrazione ritardata di iodio stabile (48-72 ore dopo l’inizio dell’esposizione) possa prolungare la ritenzione intratiroidea del radioiodio, provocando pertanto teoricamente un potenziamento del danno radioindotto alla tiroide”.
Il medesimo documento precisa che “lo iodio stabile va preferenzialmente somministrato in forma di ioduro di potassio (KI); in alternativa può essere somministrato lo iodato di potassio (KIO3), che può però determinare maggiore irritazione gastrointestinale. La presentazione farmaceutica preferibile dello ioduro di potassio è in compresse piuttosto che in soluzione liquida, sia per il più facile immagazzinamento sia perché le compresse provocano minori disturbi gastroenterici”.
Fra l’altro, le compresse di ioduro di potassio, se ben confezionate e protette da aria, umidità, calore e luce, possono essere conservate a lungo (diversi anni); se confezionate ermeticamente in blister e tenute al fresco e all’asciutto, la loro validità è di almeno 5 anni. È noto che lo ioduro di potassio è un composto chimico molto stabile per cui, se conservato in condizioni adeguate (specialmente se ben protetto dall’umidità) potrebbe avere una validità anche superiore ai 5 anni.
Infine, per quanto riguarda la posologia consigliata, il Piano, seguendo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – peraltro fatte proprie nelle pianificazioni di emergenza dalla quasi totalità dei Paesi Europei – è quella riassunta nella seguente tabella:
Posologia consigliata dall’OMS per la somministrazione di ioduro di potassio (dal “Piano Nazionale contro le Emergenze Radiologiche”, 2010).
Il Piano sottolinea che, nel caso dell’ipotetico incidente descritto in precedenza, “si prevede che sia sufficiente un’unica somministrazione di iodio stabile alle dosi consigliate, dato che la durata del blocco funzionale tiroideo dopo una singola somministrazione è di circa 24-48 ore. Soltanto nell’eventualità di un rilascio prolungato nel tempo potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di somministrazioni ripetute. In questo caso vanno prese ulteriori precauzioni per particolari categorie”.
Naturalmente, la tempestività della somministrazione è fondamentale. Non è un caso, quindi, che negli Stati Uniti in alcuni stati si distribuiscano in tempi “tranquilli” pillole gratuite a chi vive entro un raggio di 15 km da una centrale nucleare, informando preventivamente gli abitanti; che il Dipartimento della Salute americano, nel 2014, abbia ordinato ben 14 milioni di pillole di ioduro di potassio; e, infine, che l’Associazione Americana per la Tiroide consigli alle persone che temono un disastro nucleare di averne una scorta per 14 giorni, non richiedendo una ricetta medica.
Si noti che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato tre marche di compresse di ioduro di potassio: Iosat, ThyroSafe e ThyroShield. Queste sono le uniche marche di compresse che possono affermare di essere state approvate dalla FDA, ma in commercio sono disponibili anche molte altre marche. Se si acquista un marchio approvato dalla FDA, si sa per certo che le pillole conterranno effettivamente gli ingredienti promessi e nella quantità richiesta. Se acquisti una delle altre marche di prodotti non approvati dalla FDA, non hai modo di sapere cosa contengono davvero.
N.B.: Le informazioni riportate non sono consigli medici. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico.
Riferimenti bibliografici:
- Iodio 131, https://it.wikipedia.org/wiki/Iodio-131
- Piano Nazionale contro le Emergenze Radiologiche, http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/Piano_nazionale_revisione_1marzo_2010.pdf
- “Guidelines for iodine prophylaxis following nuclear accidents”, World Health Organization, 1999.
- Nukepills, https://www.nukepills.com/press/government-purchase-of-14-million-potassium-iodide-tablets-dept-hhs/