Come valutare la qualità dell’acqua

La qualità dell’acqua è una misura della condizione dell’acqua in relazione ai requisiti di una o più specie biotiche e/o a qualsiasi bisogno o scopo umano. Gli standard più comuni utilizzati per valutare la qualità dell’acqua riguardano la salute degli ecosistemi, la qualità per l’uso domestico e per quello potabile.

La qualità dell’acqua si riferisce alle caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e radiologiche dell’acqua. Il concetto di qualità dell’acqua viene anche usato in riferimento a una serie di norme rispetto alle quali è possibile valutare la conformità, ma per questo aspetto specifico rimandiamo all’articolo apposito sulla normativa italiana relativa all’inquinamento idrico ed alla qualità delle acque.

In ogni caso, la qualità dell’acqua deve essere appropriata per il suo uso utilizzo. La stragrande maggioranza delle acque dolci superficiali sulla Terra non è né potabile né tossica, ma nei nostri Paesi le attività industriali e commerciali sono una causa di inquinamento idrico, come pure il deflusso dalle aree agricole, il deflusso dalle aree urbano e lo scarico di acque reflue trattate e non.

La qualità delle acque superficiali

Il monitoraggio della qualità dell’acqua dei corpi idrici superficiali (torrenti, fiumi, laghi, mari, etc.) può aiutare i ricercatori a imparare dai processi naturali nell’ambiente ed a determinare e prevedere l’impatto umano su un ecosistema. Questi sforzi di misurazione possono anche aiutare nei progetti di risanamento ambientale o garantire che vengano rispettati gli standard ambientali prefissati.

I parametri che influiscono sulla qualità dell’acqua nell’ambiente includono fattori fisici, chimici e biologici. Le proprietà fisiche della qualità dell’acqua comprendono la temperatura e la torbidità. Le caratteristiche chimiche coinvolgono parametri come il pH e l’ossigeno disciolto. Gli indicatori biologici della qualità dell’acqua comprendono le alghe ed il fitoplancton. Altri parametri importanti sono la salinità e il residuo fisso, cioè la quantità totale di sostanze disciolte nell’acqua.

Alcuni apparecchi che misurano residuo fisso, pH e temperatura dell’acqua.

Questi parametri, in realtà, sono rilevanti non solo per gli studi sulle acque superficiali dell’oceano, dei laghi e dei fiumi, ma anche per le acque sotterranee e di quelle di scarico dei processi industriali. Ad esempio, una misura della qualità dell’acqua in laghi, fiumi e torrenti è proprio data dal residuo fisso. Quantità elevate di sostanze disciolte, infatti, possono indicare una scarsa qualità dell’acqua. E lo stesso vale, in generale, anche per l’acqua potabile (l’acqua del rubinetto, non la minerale).

L’acqua può essere classificata in base al livello di residuo fisso:

  • Acqua dolce: meno di 500 mg/l = 500 ppm
  • Acqua salmastra: da 500 a 30.000 mg/l = 500-30.000 ppm
  • Acqua salina: da 30.000 a 40.000 mg/l = 30.000-40.000 ppm
  • Acqua ipersalina: superiore a 40.000 mg/l o > 40.000 ppm

Sono stati condotti numerosi studi per studiare le reazioni di varie specie animali ad un elevato residuo fisso, e queste vanno dall’intolleranza alla totale tossicità. I risultati numerici, tuttavia, devono essere interpretati con cautela, poiché i risultati di tossicità vera si riferiscono a componenti chimici specifici. Tuttavia, tali informazioni sono un’utile guida sulla natura dei rischi nell’esposizione di organismi acquatici o di animali terrestri a livelli elevati di residuo fisso.

La maggior parte degli ecosistemi acquatici che coinvolgono la fauna ittica mista possono tollerare livelli di residuo fisso di 1000 mg/l. La riproduzione di pesci e gli esemplari giovani sembrano essere più sensibili agli alti livelli di residuo fisso. Ad esempio, da misurazioni effettuate nei delta dei fiumi è stato riscontrato che concentrazioni di 350 mg/l di residuo fisso riducono la deposizione delle spigole, mentre concentrazioni inferiori a 200 mg/l favorivano condizioni di deposizione delle uova più salutari.

Gli individui interessati a monitorare la qualità dell’acqua che non possono permettersi o gestire analisi su scala di laboratorio possono anche utilizzare indicatori biologici per ottenere una lettura generale della qualità dell’acqua. Ad esempio, i molluschi bivalvi sono ampiamente utilizzati come bioindicatori per monitorare la salute degli ambienti acquatici sia nell’acqua dolce che negli ambienti marini.

Gli standard di qualità dell’acqua per le acque di superficie variano in modo significativo a causa delle diverse condizioni ambientali, degli ecosistemi e degli usi previsti. Le sostanze tossiche e le elevate popolazioni di alcuni microrganismi possono presentare un rischio per la salute nell’uso a scopo non potabile, come l’irrigazione, il nuoto, la pesca, il rafting, la navigazione e gli usi industriali. Queste condizioni possono anche interessare la fauna selvatica, che usa l’acqua per bere o come habitat.

Per questo, la maggior parte delle leggi ambientali attuali si concentra sulla designazione di particolari usi di un corpo idrico, fissando degli obiettivi da raggiungere per il mantenimento di ecosistemi sani, e possono concentrarsi anche sulla protezione delle popolazioni di specie in via di estinzione. Anche in Italia la tutela dei corpi idrici dall’inquinamento è così regolata dalla legge (in particolare, dal D.Lgs. 152/2006).

La qualità per l’uso domestico

I minerali disciolti nell’acqua possono influire sulla sua idoneità per una serie di scopi industriali e domestici. La più familiare di queste problematiche è probabilmente la presenza di ioni di calcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+), che interferiscono con l’azione detergente del sapone e possono formare depositi di solfati duri e carbonati dolci in scaldacqua o caldaie. La cosiddetta “durezza” dell’acqua è dovuta proprio alla naturale presenza in essa del calcio e del magnesio.

La durezza rappresenta la somma dei sali di calcio e di magnesio, in qualunque forma contenuti nell’acqua. Si misura in gradi, che in gradi tedeschi sono indicati con la lettera “D” e in gradi francesi con la lettera “F”. Un grado francese equivale a 10 mg/l di carbonato di calcio ed a 0,56 °D (gradi tedeschi). Le acque sono classificate in base al grado di durezza in:

  • Dolce: grado di durezza inferiore a 10 °F;
  • Moderatamente dura: grado di durezza tra 10 e 20 °F;
  • Dura: grado di durezza fra 20 e 30 °F;
  • Molto dura: grado di durezza oltre 30 °F.

Per misurare la durezza dell’acqua, si può ricorrere ad un apposito kit di test – liquido od in cartine – che è spesso utilizzato per misurare la durezza dell’acqua negli acquari.

Un kit per misurare la durezza dell’acqua negli acquari.

Le acque di rubinetto sono “dure” quando contengono tanti sali disciolti. Un’acqua si definisce, invece, “dolce” quando contiene solo pochi sali disciolti. L’acqua distillata, quindi, è dolcissima e purissima, perché non contiene sali disciolti. Ma qualsiasi acqua “naturale”, passando attraverso falde e terreni, si arricchisce di vari soluti, ovvero, di sostanze polari che riescono a disciogliersi in essa.

Sebbene il pH e la durezza siano proprietà diverse dell’acqua, sono strettamente collegate. Mentre il pH è una misura dell’acidità e alcalinità dell’acqua, la durezza è una misura dei minerali disciolti nell’acqua. I due sono strettamente collegati perché i minerali disciolti tendono a contrastare gli effetti degli acidi nell’acqua (un processo noto come “tampone”), impedendo la caduta del pH.

Nella maggior parte dei casi, quindi, l’acqua dura ha un pH elevato (alcalino), mentre l’acqua dolce ha un pH basso (acido), e dunque basterà misurare il pH. Negli acquari, invece, si può avere un’acqua dura ma un pH basso. Ciò si verifica perché gli acidi prodotti in un acquario (da scarti di pesce, respirazione, paludi, etc.) superano la “capacità tampone” degli elementi nell’acqua, causando la caduta del pH, ma lasciando sufficienti minerali “non tampone” perché l’acqua rimanga dura.

Un’acqua di casa con un pH basso (minore di 6.5) potrebbe quindi essere acida, “dolce” e corrosiva. Pertanto, l’acqua potrebbe portar via ioni metallici – come ferro, manganese, rame, piombo e zinco – dalla falda acquifera, dagli impianti idraulici e dalle tubature. Pertanto, un’acqua con un pH basso potrebbe contenere livelli elevati di metalli tossici, causare danni prematuri alle tubazioni metalliche, un gusto metallico o aspro, macchiare il bucato e colorare di “blu-verde” lavandini e scarichi.

Un’acqua di casa con un pH maggiore di 8,5 potrebbe indicare che è “dura”. L’acqua dura non rappresenta un rischio per la salute, ma può causare altri problemi, che includono: formazione di precipitato sulle tubazioni che fanno diminuire le pressioni dell’acqua e il loro diametro interno; sapore alcalino nell’acqua che può ad es. rendere amaro il gusto del caffè; formazione di un deposito su piatti, utensili e lavandini; riduzione dell’efficienza di scaldacqua elettrici e lavastoviglie.

L’acqua dura, causando accumulo di calcare in tubi, valvole e filtri, riduce le prestazioni e aumenta i costi di manutenzione dei sistemi e degli elettrodomestici. Tali effetti possono essere osservati in acquari, spa, piscine e sistemi di trattamento dell’acqua ad osmosi inversa. In tal caso, l’acqua può venire addolcita attraverso un opportuno “addolcitore”. Tipicamente, in queste applicazioni il residuo fisso viene controllato di frequente – insieme alle membrane filtranti – per evitare effetti negativi.

Quando si misura il residuo fisso dell’acqua dura trattata con addolcitori, eventuali alti livelli di questo parametro non sono correlati all’acqua dura, poiché gli addolcitori non riducono il residuo fisso; piuttosto, sostituiscono ioni di magnesio e calcio, che causano l’acqua dura, con una uguale carica di ioni sodio o di potassio, lasciando il residuo fisso generale invariato o addirittura aumentato.

Anche un elevato residuo fisso indica, in generale, che l’acqua è dura, il che significa che ci sono molti minerali disciolti che formeranno delle incrostazioni ad es. sui lati di una piscina o di una spa e all’interno dei tubi. Il monitoraggio del residuo fisso può consentire l’intervento prima che ciò succeda. In ogni caso, se l’acqua è dura, addolcitela solo per le aree utilizzate per il lavaggio e la pulizia, non per cucinare e bere.

La qualità per il consumo umano

I contaminanti che possono essere presenti nell’acqua non trattata includono microrganismi come virus, protozoi e batteri; contaminanti inorganici come sali e metalli; contaminanti chimici organici da processi industriali e dall’uso di petrolio; pesticidi ed erbicidi; e contaminanti radioattivi. Dunque la qualità delle fonti di acqua dolce dipende in generale dalla geologia e dall’ecosistema locali, così come dagli usi umani come la dispersione delle acque reflue, l’inquinamento industriale

Negli Stati Uniti, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) limita la quantità di determinati contaminanti nell’acqua di rubinetto fornita dai sistemi idrici pubblici. Esistono, a riguardo, due tipi di standard: gli standard primari regolano le sostanze che possono potenzialmente influire sulla salute umana; gli standard secondari prescrivono le qualità che influenzano il gusto, l’odore o l’aspetto.

In Italia, esiste invece un decreto legge (precisamente, il D.Lgs. 31/2001) che fissa le caratteristiche delle acque per l’uso potabile – cioè i criteri di qualità delle acque idonee per il consumo umano, previa eventuale potabilizzazione – e definisce, in particolare, dei “valori parametrici da non superare” per 64 parametri di natura fisica, chimica e microbiologica.

I limiti di legge italiani microbiologici per l’acqua di rubinetto (sopra) e minerale (sotto).

I limiti di legge italiani dei parametri chimici per le acque per uso potabile.

I limiti di legge italiani dei parametri indicatori per le acque per uso potabile.

I livelli di pH dell’acqua bevibili dall’uomo variano da 4 a 11 con minima irritazione gastrointestinale. Valori superiori a 11 possono causare irritazioni alla pelle e agli occhi, così come un pH inferiore a 4. Per quanto riguarda la durezza, l’acqua dura è preferibile all’acqua dolce per il consumo umano, poiché i problemi di salute sono stati associati con l’eccesso di sodio e con carenze di calcio e magnesio.

La soglia di residuo fisso – cioè la somma di minerali, sali ed inquinanti disciolti nell’acqua – accettabile per l’acqua potabile umana dal rubinetto è di 500 mg/l, che negli Stati Uniti è lo standard di qualità secondario per garantire l’appetibilità dell’acqua potabile (mentre il limite di legge in Italia per l’acqua potabile ad uso umano è di 1.500 mg/l). Nel caso, lo si può ridurre con membrane ad osmosi inversa. Si noti che, di solito, l’acqua minerale in bottiglia ha un residuo fisso superiore rispetto all’acqua di rubinetto.

In paesi con forniture dell’acqua di rubinetto spesso non sicure o sporche – come ad esempio in gran parte dell’India – il residuo fisso dell’acqua potabile viene spesso controllato dai tecnici per misurare l’efficacia dei loro dispositivi di filtrazione dell’acqua. Infatti, sebbene il valore di tale parametro non fornisca una risposta sulla quantità di microrganismi presenti in un campione d’acqua – cioè sulla sua qualità microbiologica – può dare comunque una buona idea dell’efficienza del filtro utilizzato.

Nelle aree urbane di tutto il mondo, la tecnologia di depurazione delle acque viene usata nei sistemi idrici comunali per rimuovere i contaminanti dall’acqua di fonte (acque superficiali o sotterranee) prima di essere distribuiti a case, aziende, scuole e altri destinatari. L’acqua prelevata direttamente da un corso d’acqua, un lago o una falda acquifera e che non ha avuto alcun trattamento sarà di qualità incerta.

Si può ragionevolmente prevedere che l’acqua potabile – compresa l’acqua trattata e quella in bottiglia – contenga almeno una piccola quantità di alcuni contaminanti. La presenza di questi contaminanti non indica necessariamente che l’acqua rappresenti un rischio per la salute. Al tempo stesso, il fatto che un’acqua potabile soddisfi i parametri di legge non la rende di per sé sicura al 100%, ad esempio a causa del numero giocoforza limitato di parametri normati e del cosiddetto “effetto cocktail”.

 

Riferimenti bibliografici

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