Il dott. Paolo Orio, presidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili, in un convegno sull’elettrosmog ha raccontato come, nel 2018, una ricercatrice tedesca abbia pubblicato un lavoro di rassegna fondamentale per dimostrare gli effetti del Wi-Fi, dal significativo titolo: Biological and pathological effects of 2.45 GHz radiation on cells, fertility, brain and behavior, ovvero “effetti biologici e patologici delle radiazioni a 2,45 GHz (tipiche del Wi-Fi) sulle cellule, sulla fertilità, sul cervello e sul comportamento”.
Si tratta di una meta-analisi di 100 studi scientifici peer-reviewed che riportano effetti non termici, bensì biologici, delle onde elettromagnetiche alle frequenze del Wi-Fi (oltre che dei forni a microonde). Oggi, infatti, per dare l’accesso a Internet, vi sono sempre più antenne (di router, access point, femtocelle) che emettono radiazioni pulsate a 2,45 GHz, installate in biblioteche, ospedali, hotel, aeroporti, stazioni ferroviarie, centri commerciali, luoghi pubblici e in autobus, metropolitane e treni.
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Lo studio conclude che “l’impatto di tali radiazioni, ai livelli di esposizione fissati dalla Commissione internazionale sulla protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP) e adottati da molti Paesi come limiti di legge (tal quali o usandoli come riferimento, ndr), è su: apparato riproduttivo, funzioni cerebrali ed elettroencefalogramma, cuore, fegato, tiroide, espressione genica, ciclo cellulare, membrane cellulari, batteri, piante. Inoltre, gli effetti sull’apprendimento, la memoria e l’attenzione, oltre che sul comportamento, sono risultati essere espressione di effetti citotossici”.
Pertanto, come sostiene lo studio in questione, a causa degli effetti citotossici la tecnologia Wi-Fi “non è adatta per ospedali e telemedicina, per le stanze da letto, per gli spazi di lavoro, per le sale comuni, per le camere delle cliniche, per le biblioteche, per le scuole e per i mezzi di trasporto”. Ma questo ormai ampio corpus di ricerca medico-scientifica esistente sui rischi per la salute delle radiazioni Wi-Fi non viene generalmente considerato dai decisori politici o nel dibattito pubblico.
I moderni router Wi-Fi dual-band operano nelle due bande a 2,4 e 5 GHz.
Come spiega il biologo Fiorenzo Marinelli, “il Wi-Fi è una cosa inutile, nel senso che abbiamo cablato tutta la Terra con cavi e fibra ottica per far passare molto bene il segnale di Internet e poi vogliamo fargli percorrere gli ultimi 10 metri via radio dentro le nostre abitazioni. Ciò è insensato, perché il segnale via radio è meno capiente, meno efficace e, oltretutto, irradia le persone che abitano dentro o vicino casa. Inoltre, il segnale Wi-Fi non è come quello del telefono, ma ha un ampio spazio di frequenze da utilizzare e, trasmettendo i dati, riempie progressivamente queste frequenze che ha a disposizione. Ciò si risolve in una continua emissione di impulsi: non è più un’onda che irradia, ma una serie di impulsi, un po’ come quella di un radar. Quindi, la migliore soluzione per usare Internet è utilizzare il cavo fino ai computer”.
Alcuni studi fatti dal gruppo di Marinelli (Barteri et al., 2014) sugli effetti del Wi-Fi – ancora in corso di pubblicazione – riguardano la modifica della cosiddetta “cinetica enzimatica”. In altre parole, dentro le nostre cellule vi sono degli enzimi che svolgono delle funzioni metaboliche: ad esempio, per citare alcuni di tali enzimi, la lattato deidrogenasi, la laccasi, la quercetina, il glutatione, etc. Ebbene, questi enzimi vengono alterati dall’irraggiamento con il Wi-Fi (il glutatione è di interesse anche per le ricerche che si stanno facendo sull’elettrosensibilità e sulla Sensibilità Chimica Multipla). Gli enzimi esposti a un router Wi-Fi hanno bisogno di una quantità maggiore di energia per funzionare, e quindi è come se funzionassero meno all’interno della cellula.
Il gruppo di Marinelli ha effettuato anche degli studi, in una fattoria in provincia di Bologna, sugli effetti del Wi-Max (5,8 GHz) sulle cellule, tecnologia che serve per trasmettere Internet nelle campagne per grandi distanze, per cui la densità di potenza è maggiore. L’antenna del Wi-Max era a 30 metri dalla stalla, dove alcune cellule sono state messe in coltura, perché i proprietari lamentavano anche una serie di malesseri degli animali, una minore produzione di latte, etc. Anche in questo caso si è osservata una morìa delle cellule esposte, che non metabolizzano il colorante, mentre quelle di controllo lo metabolizzano bene.
Il problema dell’irradiazione Wi-Fi nelle scuole
Noi, in Italia, mettiamo il Wi-Fi nelle scuole, nonostante i bambini ed i ragazzi siano ancora più sensibili. Non stupisce, quindi, che le relative radiazioni possano facilitare lo sviluppo a lungo termine di vari tipi di patologie croniche (come meccanismo d’azione, infatti, molti studi identificano lo stress ossidativo, che ad es. è una delle cause all’origine dei tumori), ridurre la fertilità e causare malattie neurodegenerative ed, infine, favorire, sul breve termine, lo sviluppo della cosiddetta “elettrosensibilità”.
L’elettrosensibilità si può definire come “una reazione avversa multi-organo caratterizzata da sintomi aspecifici che variano per intensità, durata e frequenza e si può verificare in soggetti esposti per motivi residenziali, lavorativi o personali alle radiazioni elettromagnetiche emesse da sorgenti di alta e bassa frequenza a valori di esposizione – si noti bene – inferiori rispetto a quelli stabiliti per legge”. In circa il 10% dei casi, è invalidante, e può condurre talvolta ad esiti ancora più drammatici.
A tal proposito, Orio ha illustrato il commovente – ma non così raro – caso di una ragazzina inglese, Jenny Fry, che nel 2015 si è suicidata, all’età di 15 anni, a causa di una elettrosensibilità conclamata derivante da un’esposizione al Wi-Fi installato a scuola, la quale le aveva reso la vita impossibile. Un aspetto – quest’ultimo – che accomuna almeno il 10% delle persone elettrosensibili, che sviluppano una elettrosensibilità così grave da scegliere perfino, in alcuni casi, di togliersi la vita.
Jenny, forse a causa di una costante esposizione, era diventata particolarmente sensibile alle onde del Wi-Fi e aveva sviluppato, nei loro confronti, una sorta di allergia. Di conseguenza, secondo quanto raccontato a un noto tabloid inglese dalla madre di Jenny, la figlia ha dovuto sopportare per due anni disturbi molto gravi e pesanti. Soffriva, infatti, di forti mal di testa, era affetta da paralisi e aveva perso il controllo dei propri muscoli, al punto da diventare addirittura incontinente.
Jenny Fry, un’allegra ragazzina inglese suicidatasi per colpa dell’elettrosensibilità sviluppata con l’esposizione al Wi-Fi.
“Mia figlia – ha confessato la signora Fry – non ce la faceva più. A scuola, le forti emicranie le impedivano di concentrarsi e spesso stava così male da non poter seguire le lezioni. Durante l’estate, lontana dai banchi, si riprendeva, ma non appena rimetteva piede in classe i disturbi ritornavano, ancora più aggressivi di prima. Inizialmente – ha spiegato la madre – pensavamo che i sintomi potessero essere attribuiti ad uno squilibrio ormonale, ma poi esami più approfonditi hanno svelato un’altra verità”.
Gli elettrosensibili sono persone che oggi, in Italia, hanno zero diritti. Il dott. Orio ha raccontato che “all’Associazione Italiana Elettrosensibili, pur non essendo particolarmente conosciuta, chiamano due persone al giorno. Ci sono bambini malati, quattordicenni malati che non possono più andare a scuola, che non possono più varcare la soglia dell’aula di informatica perché stanno malissimo, sono devastati, devono prendersi insegnati privati. Eppure, basterebbe non mettere il Wi-Fi nelle scuole”.
Una esplicativa illustrazione sui pericoli del Wi-Fi a scuola. (fonte: stopthecrime.net)
In Australia, ha fatto molto scalpore il caso del piccolo Ethan Wyman, morto 11 mesi dopo la diagnosi di due tumori al cervello che sembravano avere circa 3 mesi e che i genitori attribuiscono al Wi-Fi, essendo stati diagnosticati quattro mesi dopo aver ricevuto un iPad collegato via Wi-Fi. I suoi genitori in seguito scoprirono che era solito addormentarsi con esso sotto il cuscino. Anche se l’apparecchio era in standby, emetteva ancora radiazioni mentre tentava di connettersi al router.
Secondo uno studio condotto da un team di medici del sistema sanitario nazionale britannico, bambini e ragazzi, avendo la calotta di protezione del proprio cervello caratterizzata da tessuti più sottili, riescono ad assorbire una quantità di microonde 10 volte maggiore rispetto agli adulti e possono perciò sviluppare più facilmente delle patologie. “Ecco perché”, ha spiegato Orio, “il Wi-Fi non va installato a scuola: la scuola va cablata, per garantire una sicurezza certa per la salute di bambini e ragazzi”.
La qualità di una connessione cablata con cavo Ethernet è la migliore possibile.
Anche il già citato studio tedesco della Wilke raccomanda di “adottare misure per minimizzare l’esposizione alle radiazioni a radiofrequenza. Le soluzioni cablate dovrebbero avere la precedenza. I limiti di esposizione attuali e i valori fissati come ‘limite per il SAR’ (la quantità massima di radiazioni che il corpo umano può assorbire senza avere conseguenze dagli effetti termici) non proteggono dai rischi per la salute associati alle radiazioni Wi-Fi”. Infatti, gli effetti biologici si osservano a soglie ben più basse rispetto a quelli termici.
Lo studio in questione sottolinea poi che “i possibili rischi associati alle radiazioni Wi-Fi potrebbero essere evitati testando tecnologie alternative su altre bande di frequenza, come le tecnologie ottiche VLC/Li-Fi (comunicazione a luce visibile). Quando il Wi-Fi non può essere evitato come soluzione di transizione, è necessario applicare il principio ‘ALARA’: ovvero, nessuna trasmissione continua, bensì reti Wi-Fi che possono essere disattivate e dotate di gestione dinamica dell’alimentazione”.
In particolare, la tecnologia Li-Fi (abbreviazione di Light Fidelity) citata dallo studio – attivamente sviluppata da diverse organizzazioni in tutto il mondo – risulta essere non pericolosa, in quanto utilizza la luce visibile (oppure ultravioletta o infrarossa) per trasmettere dati ad alta velocità. In termini di utilizzo finale, la tecnologia è simile al Wi-Fi, ma è più veloce e consente di lavorare su una larghezza di banda più elevata, nonché di lavorare in aree suscettibili alle interferenze elettromagnetiche.
Differenza fra la tecnologia Li-Fi e quella Wi-Fi.
Il Wi-Fi presente nelle scuole, invece, può fornire agli alunni 3 volte più irraggiamento rispetto alle torri dei cellulari vicine alle scuole, cioè delle stazioni radio base. A 0,2 metri da un router sono stati riportati livelli di campo fino a 8,8 V/m, valori simili a quelli di un access point, a parità di distanza. Se poi ad esso si sommano le emissioni Wi-Fi di decine e decine di tablet, con ciascuno che emette potenze dell’ordine dei 100 mW, si può immaginare quali livelli si raggiungano. Per questo motivo, all’estero il Wi-Fi è stato ormai bandito o vietato da tempo in molte scuole.
Ad esempio, in Francia dal 9 febbraio 2015 il Wi-Fi è addirittura vietato per legge negli asili nido e nelle scuole materne, ed è obbligatoria la segnalazione visibile dei luoghi pubblici in cui viene irradiato il segnale Wi-Fi; ma anche in Inghilterra, Germania, Argentina, Israele, Corea del Sud si sta facendo un passo indietro nei confronti del Wi-Fi nelle scuole. E, guarda caso, molti di questi sono proprio i Paesi che hanno sperimentato per primi le soluzioni di aiuto tecnologico nell’educazione in ambito scolastico in voga in Italia (come il LIM e il tablet).
Invece, oggi nelle scuole italiane si sostituiscono lavagne e libri cartacei con Lavagne Interattive Multimediali (o LIM, appunto) e tablet, che normalmente funzionano con il Wi-Fi. Non tutti sanno, però, che è possibile collegare in rete locale e ad Internet le LIM e molti tablet Android usando una connessione cablata, in altre parole col cavo fisso che va direttamente alla porta LAN del router. Dunque, per prevenire il problema alla radice, è necessario acquistare dei tablet (e ovviamente delle LIM) che supportino la connessione Ethernet.
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Una LIM, o Lavagna Interattiva Multimediale usate nelle scuole.
Anche il cavo Ethernet che collega il modem / router al PC fornendo una connessione Internet cablata può essere una fonte di radiazione a radiofrequenza e quindi va schermato, se non lo è già a sufficienza. La maggior parte delle persone non pensano a questo cavo e usano quello fornito con il modem / router. Errore! Esistono molte qualità diverse di questo tipo di cavi: ad esempio, cavi di categoria 5, 6, 7, etc. Raccomandiamo di acquistare almeno un cavo schermato Ethernet Cat 6a SSTP. Se hai dubbi sul cavo attualmente presente, cambialo.
Per fortuna molte scuole del nord, centro e sud Italia, dopo le proteste dei genitori, hanno optato per l’installazione di reti cablate e tolto il collegamento wireless spegnendo del tutto il Wi-Fi, mentre alcuni presidi addirittura controllano con un rilevatore portatile di radiofrequenze che gli studenti depositino il loro smartphone spento nelle apposite cassette di custodia. Del resto, un alunno passa fra i banchi di scuola 6 ore al giorno per i 12 anni della scuola primaria, praticamente una vita.
Come racconta Maurizio Martucci nel suo libro sull’elettrosmog, “nel 2015, il medico ospedaliero Mario Canciani ha svolto una campagna di monitoraggio sul Wi-Fi nelle scuole di Udine, sottoponendo 200 ragazzi a questionari ed all’applicazione di un dosimetro. È risultato che la percentuale di bambini con sintomi che sono potenzialmente causati dall’elettromagnetismo è stata del 70% per stanchezza cronica, 46% per cefalea, 50% per difficoltà a concentrarsi. La percentuale di tali sintomi, inoltre, è risultata aumentare al crescere delle fonti elettromagnetiche con una relazione statisticamente significativa”.
Come limitare la potenza di un router Wi-Fi
Anche l’ufficio e la casa sono spesso dotati di antenne Wi-Fi, per il router e per gli elettrodomestici di nuova generazione, spesso definiti “smart”, ovvero intelligenti solo perché si possono collegare a Internet. I router residenziali, addirittura, contengono spesso due trasmettitori Wi-Fi con rispettive antenne (a volte anche 3). Se non abbiamo esigenze particolari, possiamo disattivare la funzione Wi-Fi di un router con il pulsante tipicamente posto dietro l’apparecchio o, se non c’è, dal pannello di controllo accessibile via software.
Infatti, possiamo ugualmente avere il segnale per Internet in qualsiasi punto della casa senza usare il Wi-Fi. Ad esempio, collegando al router un sistema “a onde convogliate” noto come powerline, che fa viaggiare ad alta velocità il segnale modulato con i dati Internet sulla rete elettrica di casa, con l’ausilio di due o più apparecchietti (acquistabili per poche decine di euro e da infilare in altrettante prese elettriche) che effettuano il filtraggio e la sincronizzazione fra di loro in modo del tutto automatico, senza necessità di alcun settaggio da parte dell’utente.
I sistemi powerline usati per cablare il Wi-Fi (cortesia F. Marinelli).
In particolare, nell’ambito delle reti locali per le abitazioni e/o piccoli uffici, è stato creato il consorzio HomePlug, che consente la creazione dell’equivalente di una rete Ethernet tramite l’utilizzo del normale impianto elettrico casalingo. Da ottobre 2006 è stato introdotto lo standard HomePlug AV, che supporta una velocità teorica di 200 Mbit/s con un effettivo variabile tra i 70 e 110 Mbit/s, con prestazioni quindi nettamente superiori a quanto fornito dalle soluzioni Wi-Fi 802.11g.
Tuttavia, gli adattatori per trasportare il segnale Internet sulla rete elettrica introducono dei segnali a radiofrequenza (radiazione RF) sul cablaggio della casa. La combinazione della radiazione RF con l’elettricità di una linea elettrica è nota dare origine al fenomeno dell’“elettricità sporca”. Vi sono molti problemi di salute associati a tale elettricità. Per questo motivo, non si può definire questa tecnologia un’alternativa molto sicura, ed è preferibile trasmettere il segnale Internet tramite cavo Ethernet.
Esistono poi sul mercato tutta una serie di dispositivi “energetici” che pretendono di armonizzare e/o neutralizzare le radiazioni Wi-Fi. Si tratta di assurdità senza senso. Inoltre, quando scegliamo di avere un dispositivo del genere per porre rimedio a qualcosa che sappiamo che essere sbagliato, ciò che accade è che spesso ritardiamo l’adozione di una mossa proattiva per mitigare la nostra esposizione, così la nostra esposizione continua e alla fine la nostra biologia o salute possono risentirne.
Ma come si fa a limitare la potenza di un router Wi-Fi, se non si vuole rinunciare al Wi-Fi? Beh, ci sono vari modi, ma in tutti i casi abbiamo bisogno: (1) di sapere qual è la potenza nominale emessa dal nostro router; (2) di uno strumento per misurarla, per capire di quanto la abbiamo ridotto dopo il nostro intervento. Piuttosto che usare strumenti acquistati ad hoc, conviene in realtà usare le tacche del segnale Wi-Fi che vediamo sul dispositivo che vogliamo utilizzare con la rete Wi-Fi.
Un buon misuratore RF ci aiuta a misurare il campo di una qualsiasi sorgente Wi-Fi.
Infatti, qualsiasi dispositivo (smartphone, tablet, computer portatile, etc.) non ha bisogno di un segnale Wi-Fi alla massima potenza per navigare in rete e funzionare bene, ovvero di un segnale pari a 6 tacche su 6. Se scopriamo che il dispositivo che intendiamo usare funziona bene già con un segnale pari a 2 tacche, dovremo cercare di ridurre il segnale che dal router arriva all’apparecchio in questione, cioè affinché sia, nel nostro esempio, pari a 2 tacche o 3, piuttosto che alle 4, 5 o 6 tacche di partenza.
La normativa tecnica ETS 300-328-2 sui sistemi “Radio LAN” impone di non irradiare con una potenza E.I.R.P. superiore ai 100 mW (equivalente a 20 dBm) per hotspot. Per tale motivo su tutto il territorio dell’Unione Europea, ed anche in Italia, in locali aperti al pubblico o in aree confinate a frequentazione pubblica è vietato utilizzare antenne che abbiano un guadagno in trasmissione elevato (diciamo superiore ai 5 dBi), tale da portare la potenza trasmessa E.I.R.P. oltre i suddetti 100 mW.
Per chi non lo sapesse, E.I.R.P. è l’acronimo di Effective Isotropic Radiated Power ovvero, “potenza isotropica irradiata equivalente”. Si tratta di una misura di densità di potenza radio irradiata da un’antenna. La densità cui viene fatto riferimento è quella riferita all’irradiazione di un’antenna isotropa ideale. In pratica, l’E.I.R.P. misura l’effettiva potenza trasmissiva di un sistema radio, ed il suo valore è dato dalla potenza trasmissiva sommata al guadagno d’antenna meno le perdite sul cavo.
Di default (vedi ad es. la sezione “WiFi Advanced” del pannello di configurazione del router), il router Wi-Fi trasmette alla massima potenza possibile (cioè al valore 100% nel menu a tendina “Transmit power”). Tale valore, però, si riferisce alla massima potenza trasmissiva permessa nella nazione indicata nelle impostazioni regionali del router, chiamate “Region settings”, che consentono di regolare il funzionamento del router Wi-Fi sulla base delle diverse normative vigenti nei vari Paesi.
Esempio di menù di un router Wi-Fi per regolarne la potenza. Di default, infatti, il router trasmette sempre alla massima potenza.
Infatti, mentre in Italia ed in Europa – come abbiamo visto – non si possono superare i 20 dBm/100 mW EIRP sulle frequenze dei 2,4 GHz, negli Stati Uniti, invece, è permesso trasmettere con potenze maggiori, fino a 30 dBm/1 W EIRP. Molti router Wi-Fi hanno una potenza in uscita pari a 100 mW, aumentabile fino a 200 mW grazie all’utilizzo di antenne da 3 dB che consentono di raddoppiare il valore della potenza trasmissiva. Ma non è del tutto infrequente imbattersi in router da 500 mW oppure da ben 1 W di potenza.
Dunque, la prima cosa da fare è controllare la potenza nominale di uscita del proprio router sia dall’etichetta posta sullo stesso, sia dal relativo manuale di istruzioni, sia dai settaggi accessibili via software. In pratica, bisogna accedere ai “Region settings” e assicurarsi di selezionare la nazione corretta – nel nostro caso, l’Italia – in modo da adeguarsi alla corrispondente legislazione. Inoltre, nei router dual band (ovvero che lavorano a 2,4 Hz e 5 GHz), sempre via software è opportuno disattivare la banda a 5 GHz, che non è affatto indispensabile (v. figura qui sotto).
Utilizzi delle bande a 2,4 GHz ed a 5 GHz di un moderno router..
Inoltre, per misurare il campo Wi-Fi di un router, puoi usare o un misuratore RF (come per tutti gli altri campi a radiofrequenza, purché arrivi a misurare la banda a 5 GHz se il router è di quelli più moderni, che operano anche in quella banda) o, più semplicemente, delle app tipo “Wi-Fi Analyzer”, che fra l’altro permettono di misurare l’attenuazione in decibel (dB) del segnale nel caso ad es. di schermatura del router stesso. In tale eventualità, potranno essere utili il grafico e la tabella mostrati nell’articolo “Come misurare i campi e.m. degli apparecchi domestici“, che ci consentono di convertire facilmente da decibel (dB) a percentuale (%) di attenuazione e viceversa.
L’app Wi-Fi Analyzer fornisce la potenza delle varie sorgenti Wi-Fi (router o hotspot) vicine.
Il decibel non è una vera unità di misura, piuttosto un modo per descrivere il rapporto tra una misurazione dell’intensità e l’altra. Si noti che, a causa della relazione logaritmica, un valore di 20 dB rappresenta una riduzione dell’intensità di campo (quella che si misura in V/m o in mV/m) del 90%. La riduzione della densità di potenza (quella che si misura in W/m2), invece, è maggiore: ad esempio, sempre un valore di 20 dB corrisponde a una riduzione della densità di potenza del 99%.
Se invece opti per la misurazione delle emissioni di un router tramite un misuratore RF, ti consigliamo di misurare – come nel caso dei cellulari – il campo elettrico (in V/m), sebbene sia possibile misurare anche la densità di potenza, D, che “in campo lontano” (in pratica, a partire da una decina di centimetri di distanza dalla sorgente) è legata al campo elettrico (E) dalla formula D = E2/377 W/m2. Viceversa, se con il nostro apparecchio misuriamo la densità di potenza in W/m2, possiamo convertirla in campo elettrico moltiplicando per 377 il valore letto e poi calcolando la radice quadrata del risultato ottenuto. Ad esempio, se leggo una densità di potenza di 0,1 W/m2, moltiplico per 377 ottenendo 37,7 e poi calcolo la radice quadrata di tale numero, ottenendo 6,1 V/m.
Tanto per dare un’idea dei valori di campo elettrico misurati vicino a un moderno router Wi-Fi domestico (o per uffici di piccole dimensioni) operante sulle bande wireless 2,4 GHz e 5 GHz usando la tecnologia dual-band, li riportiamo in tabella in funzione della distanza tra il misuratore RF ed il router, insieme a un grafico che fornisce un’immediata indicazione visiva dell’andamento del campo. Si noti che il router era posto verticalmente su una parete di una stanza di circa 3,5 m x 3,5 m, in completa assenza di altre sorgenti RF rilevanti nelle vicinanze. Inoltre, i valori erano fluttuanti intorno a un valor medio, ed anche i valori medi determinati hanno un errore stimabile in circa il 5-10%.
I valori di campo elettrico e densità di potenza da noi misurati (v. testo).
A questo punto, abbiamo voluto farci un’idea di quanto sia possibile schermare la radiazione del router con un foglio di carta stagnola (alluminio) posto fra il misuratore RF ed il router, tuttavia più in prossimità del misuratore che del router. Abbiamo così verificato che, a una distanza di 100 cm (cioè di 1 metro) dal router, il campo elettrico calava da un valore di circa 5 V/m a circa 1,6 V/m. Successivamente, abbiamo aggiunto un secondo foglio di stagnola, ed il campo misurato è stato di circa 1,5 V/m. In conclusione, possiamo dire che un singolo foglio di stagnola è sufficiente per abbattere notevolmente le radiazioni. Il valore residuo misurato è dovuto al segnale riflesso dalle pareti, per cui la schermatura è più efficace se posta molto più vicina al router.
Andamento del campo elettrico a varie distanze da un moderno router Wi-Fi domestico dual-band a 2,4 GHz e 5 GHz: dopo un calo rapido, tende a un plateau.
Un’altra cosa importante cui fare attenzione è la collocazione del router. Molti router hanno un segnale abbastanza forte da mantenere una connessione fino a 100 metri dal router. Assicurati di mettere quanta più distanza possibile tra te e il tuo router wireless, naturalmente senza che ciò comprometta l’efficienza della tua connessione. Questo perché le esposizioni alle radiazioni Wi-Fi diminuiscono in modo significativo con la distanza: infatti, l’energia decresce secondo la legge dell’inverso del quadrato della distanza, anche se ciò è vero solo in campo aperto, già solo a causa dei fenomeni di riflessione delle pareti appena illustrati, che peraltro si applicano pari pari anche ai cellulari, quando li usiamo a casa, in ufficio, in treno o comunque in un ambiente indoor; per cui la distanza da sola offre comunque una protezione relativa, abbassando l’intensità del segnale che ci arriva addosso, ma solo fino a un certo punto.
I muri non fermano la radiazione wireless, perciò non collocare mai un router Wi-Fi dietro una parete della camera da letto. Con l’aiuto di una app per smartphone (o almeno di un PC portatile per la misurazione del numero di “tacche” del segnale), puoi facilmente verificare da te che un muro è spesso sufficiente per far calare il livello del segnale di una tacca, mentre due muri lo sono certamente. Se però il muro viene attraversato obliquamente dal segnale, viene “visto” come più spesso ed è in tal caso è solitamente sufficiente da solo.
Fra l’altro, è interessante notare che il segnale di un router, visto con un analizzatore di spettro, mostra una distribuzione su un ampio intervallo di frequenze, poiché il Wi-Fi è una tecnologia di trasmissione basata sulla modulazione cosiddetta “Frequency Hopping Spread Spectrum” (FHSS), inventata dalla nota attrice Hedy Lamarr per proteggere da eventuali spie l’ubicazione della trasmittente. Infatti, dato che l’energia trasmessa con tale tecnica si sviluppa su una banda larga, la quantità di energia per frequenza specifica risulta essere molto bassa1.
Il segnale Wi-Fi visto da un analizzatore di spettro. (© F. Marinelli)
Inoltre, è importante spegnere il Wi-Fi di notte, poiché non ce ne facciamo nulla, oltre al fatto che spesso il router non è sufficientemente lontano dal nostro letto. Per di più, gli studi ci dicono che il più grande pericolo con la radiazione Wi-Fi proviene proprio dalle esposizioni notturne, quando le onde elettromagnetiche ostacolano la naturale “disintossicazione” dell’organismo e la rigenerazione cellulare. In particolare la produzione di melatonina può venire significativamente ridotta.
Perciò possiamo spegnere ogni sera il router prima di andare a letto, magari premendo l’interruttore di una presa multipla a ciabatta (cui possono venire collegati anche il PC, il monitor e le periferiche). Alcune ciabatte garantiscono anche che l’attrezzatura sia protetta da sovratensioni (ad esempio fulmini) e che sia collegata a terra. Se siamo smemorati, possiamo far sì che il router sia disattivato ogni sera in modo automatico collegandolo a un temporizzatore meccanico programmabile.
Ma possiamo depotenziare l’emissione del router anche durante il giorno, svitandone le relative antenne (cosa che però pone vari rischi2) e/o schermando poi il suo segnale Wi-Fi al livello strettamente necessario con un opportuno utilizzo, ad esempio, della carta stagnola o di altro materiale metallico, che assorbe – e soprattutto riflette – il segnale in questione; tant’è che delle paraboline fai-da-te realizzate con la carta stagnola poste dietro all’antenna del router consentono, al contrario, di direzionare e potenziale il segnale Wi-Fi in un certa direzione.
Dunque, l’ideale sarebbe avvolgere il router parzialmente o interamente nella carta stagnola, ma ciò non è possibile perché è molto caldo e deve poter essere raffreddato dalla circolazione dell’aria, altrimenti può danneggiarsi. Pertanto, possiamo porlo in una scatola di scarpe preventivamente ricoperta di carta stagnola sui lati che ci interessa schermare. Ovviamente, dovrai fare dei buchi su almeno un lato e sul coperchio della scatola per assicurarti che l’aria circoli e l’apparecchio non scaldi troppo.
Come eliminare o ridurre le altre sorgenti Wi-Fi
Se hai disabilitato o attenuato il segnale Wi-Fi sul modem / router, dovresti naturalmente fare lo stesso anche sugli altri dispositivi elettronici (PC desktop, PC portatile, iPod, iPad, tablet, etc.), e anche su stampanti, proiettori, TV elettrodomestici e qualsiasi altra cosa che potrebbe avere funzionalità Wi-Fi. Non è sempre così facile. Cerca le opzioni software su questi dispositivi per farlo. La scelta di un’intensità della potenza Wi-Fi inferiore è ora un’opzione su alcuni set-up di dispositivi wireless. Guarda attentamente cosa ti permette di fare il software.
Sul PC portatile, disattiva la scheda di interfaccia di rete wireless incorporata e non usare il Wi-Fi, oppure usa come interfaccia Wi-Fi una chiavetta USB Wi-Fi posta all’estremità di una prolunga USB, che ridurrà significativamente l’esposizione della chiavetta, la quale funge da antenna trasmittente. E sostituisci tastiera, mouse, stampante, scanner wireless e qualsiasi altra cosa che sia senza fili con le versioni cablate USB. Oggi esistono soluzioni anche per collegare dispositivi come gli iPad a Internet tramite un adattatore Ethernet USB.
Come scoperto da alcuni ricercatori francesi, il campo elettrico del Wi-Fi emesso da un PC supera, nella zona dei genitali, i 13,7 V/m! (cortesia F. Marinelli)
Infine, c’è il problema dei segnali Wi-Fi provenienti dai router dei vicini, che puoi valutare ad es. con il software inSSIDer. Legalmente non c’è nulla che tu possa fare per obbligare i tuoi vicini a spegnere il proprio Wi-Fi, quindi devi avere un approccio soft. Vai a trovarli, fai una chiacchierata amichevole e lascia loro una stampa di questo articolo o di altri documenti simili trovati online. Se non bastasse, la volta successiva porta con te un misuratore di radiofrequenze e mostra loro i livelli di radiazioni cui stanno esponendo te e loro stessi.
Se abiti nel Nord Italia, puoi senza dubbio considerare l’idea di usufruire dell’ampio servizio di misurazione dei campi elettromagnetici indoor e outdoor (antenne fisse radio-TV e/o telefonia mobile, Wi-Fi, telefoni cordless, smartphone, forno a microonde, etc.) fornito da Abitest House Doctor. Puoi trovare qui ulteriori informazioni a riguardo.
Note
1 La tecnologia che Hedy Lamarr ha contribuito a inventare è la tecnologia radio “a spettro diffuso a frequenza variabile” (Frequency-Hopping Spread-Spectrum , o FHSS). Si tratta di una tecnologia wireless che diffonde i segnali su frequenze che cambiano rapidamente. Ogni banda di frequenza disponibile è suddivisa in sottofrequenze. I segnali cambiano rapidamente, o “saltano”, tra queste bande di sottofrequenza in un ordine predeterminato.
Poiché la FHSS è una tecnologia wireless che diffonde il suo segnale su frequenze radio rapidamente saltellanti, è altamente resistente alle interferenze ed è difficile da intercettare. L’interferenza a una frequenza specifica influenza la trasmissione solo durante quell’intervallo estremamente breve, rendendo la FHSS intrinsecamente cyber-sicura.
2 Non è probabile, ma togliendo le antenne da un router si potrebbe creare un problema più grande. Se il trasmettitore è acceso, infatti, non vedrà un carico (cioè le antenne) e ciò potrebbe danneggiare i transistor finali. In altre parole, potreste distruggere il trasmettitore e non varrebbe la pena ripararlo. Inoltre, potrebbero venire emessi lobi di radiazione intensa non controllata. Di solito, è preferibile disattivare completamente la parte wireless del router con una semplice selezione a livello hardware o software.
Gli amplificatori finali nelle radio (come router e access point), infatti, sono sintonizzati per la corrispondenza dell’impedenza in modo che la maggior parte della potenza sia trasferita all’antenna (che ha una certa resistenza). Rimuovendo l’antenna, si crea un circuito aperto, facendo sì che tutta la potenza di uscita che normalmente verrebbe indirizzata verso l’antenna vada verso i transistor finali, cosa per cui non sono progettati, e alla fine potrebbero rompersi.
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Riferimenti bibliografici
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