Con il 5G diventeremo tutti elettrosensibili?

“Diventeremo tutti elettrosensibili?”. È questo il titolo di una lettera inviata all’editore della rivista specializzata Electromagnetic Biology and Medicine da due scienziati, Orjan Hallberg e Gerd Oberfeld, il primo un ingegnere elettronico svedese e ricercatore indipendente sugli effetti dei campi elettromagnetici e il secondo medico e ricercatore presso il Dipartimento di Salute Pubblica di Salisburgo, in Austria.

Nell’articolo, i due sottolineano come ogni anno un numero crescente di persone dichiari di soffrire di elettrosensibilità, ovvero di essere elettricamente ipersensibile, il che lascia pensare che il fenomeno non riguardi più solo una piccola parte della popolazione per sua natura elettrosensibile o solo le persone che vivono in vicinanza delle antenne di nuove stazioni radio base della telefonia mobile.

Un articolo che coglie l’essenza del problema più a breve termine.

Il numero di casi segnalati di elettrosensibilità, infatti, è in costante aumento da quando è stato documentato per la prima volta nel 1991. I dati presentati dagli autori (v. tabella) sono stime, ma lo sono sulla base di ampie indagini campionarie in cui sono state utilizzate diverse serie di domande. Inoltre, l’articolo contiene un’originale analisi dei dati che dovrebbe far molto riflettere tutti noi.

Percentuale stimata delle persone elettrosensibili sulla popolazione totale in differenti anni e Paesi. (fonte: Hallberg e Oberfeld, 2006)

I dati presentati sono stati raccolti in Austria, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Svizzera e Stati Uniti. Per determinare se le statistiche indichino semplicemente una sotto-popolazione elettrosensibile o se sia invece in gioco la popolazione totale, i due scienziati hanno riportato le stime di “prevalenza” (cioè la percentuale di elettrosensibili sulla popolazione) nel tempo in un diagramma (v. figura seguente).

Percentuale stimata del numero di persone elettrosensibili sul totale nel corso degli anni. Si noti il trend esponenziale (la scala usata in ordinata, infatti, non è lineare).

Contrariamente alle opinioni delle principali autorità mediche, la figura mostra che il gruppo di persone elettrosensibili in tutto il mondo, inclusa la Svezia, non è solo una piccola frazione che si discosta dal resto della popolazione sana. Inoltre, il trend in atto sottolinea la possibilità che l’elettrosensibilità diventi più diffusa nel vicino futuro. Notiamo che l’articolo in questione è uscito nel 2006.

I malati di elettrosensibilità credono che ci stiamo avvicinando a un punto critico. In effetti, la tendenza ottenuta nel 2006 estrapolando tale trend indicava che il 50% della popolazione poteva essere previsto diventare elettrosensibile entro l’anno 2017. Anche se tale previsione non si è ancora verificata, appare comunque abbastanza chiaro il legame fra l’aumento degli elettrosensibili e lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie wireless. La previsione si verificherà quindi con il 5G?

Come vedremo nell’articolo La rete 5G: un esperimento sulla salute di tutti, grazie anche solo alla densità spaziale prevista per le antenne della rete vi sono tutti i presupposti perché ciò accada. Gli elettrosensibili di oggi sono dunque un po’ come i classici “canarini nella miniera di carbone”: ci stanno avvisando del pericolo, invitandoci ad uscire fuori dal tunnel prima che sia troppo tardi, così come i canarini avvertivano i minatori che lavoravano nelle miniere della presenza del pericoloso monossido di carbonio. Ma sapremo cogliere questo avvertimento?

Un trend da monitorare con attenzione e in modo oggettivo

A collegare la crescita della percentuale di elettrosensibili con lo sviluppo della rete di telefonia mobile non sono soltanto i rispettivi trend di crescita. Röösli et al. (2004) hanno analizzato le ragioni sospette dei sintomi provati dagli elettrosensibili. I risultati di questo studio sono elencati di seguito. Si noti come le stazioni radio base della telefonia siano la ragione nettamente dominante.

Le sospette cause dei sintomi degli elettrosensibili. (fonte: Röösli et al., 2004)

Schreier e colleghi (2006) hanno notato che le preoccupazioni espresse più spesso sono riguardo alle antenne delle stazioni radio base della telefonia mobile o delle linee elettriche ad alta tensione rispetto a telefoni cellulari, dispositivi elettrici e telefoni cordless. Risultati simili sono stati ottenuti in un altro studio (Siegrist et al., 2005) e in Austria (Hutter et al., 2004). Ad ogni modo, non si riscontra una reale specificità a seconda della sorgente dei sintomi sperimentati dalle persone.

Sebbene tutti noi possiamo sperimentare gli effetti negativi dei campi elettromagnetici, alcuni di noi risultano più sensibili di altri. La questione chiave è: le persone elettrosensibili sono più sensibili ai campi elettromagnetici per ragioni genetiche o ambientali? Nel primo caso, solo le persone geneticamente predisposte diventano elettrosensibili, nel secondo chiunque può diventarlo. In fondo, semplicemente, possono essere proprio gli effetti biologici dei campi elettromagnetici a sensibilizzarci.

Difatti, quando i sintomi dell’esposizione a tali campi sono frequenti e intensi e, in alcuni casi, durano molto tempo dopo che ci si è allontanati dalla fonte, si può soffrire di elettrosensibilità, altrimenti nota come “ipersensibilità elettromagnetica” (EHS), una condizione fisiologica non ancora ampiamente riconosciuta che può rendere le persone incapaci di lavorare o vivere intorno alla tecnologia wireless. È un po’ come andare a dei concerti senza usare i tappi per le orecchie: ci si rovina l’udito e, quel che è peggio, per sempre.

L’elettrosensibilità è una malattia che nasce come effetto a breve o a medio termine dell’inquinamento elettromagnetico. Come mostrato già venticinque anni fa in uno studio sperimentale americano (Rea, 1991), effettuato con una serie di stimolazioni con diverse frequenze ed in condizioni di doppio cieco su 100 pazienti che auto-denunciavano elettrosensibilità, “vi sono prove evidenti che la sensibilità al campo elettromagnetico esiste e può essere stimolata in condizioni controllate dall’ambiente”.

Oggi ci sono nuove prove della realtà dell’ipersensibilità elettromagnetica. In uno studio pubblicato nel 2017, “Functional brain MRI in patients complaining of electrohypersensitivity after long term exposure to electromagnetic fields”, dieci pazienti con tale sindrome sono stati sottoposti a scansioni cerebrali con la risonanza magnetica nucleare funzionale (fRMN) per verificare eventuali anomalie presenti.

Ebbene, tutti e dieci i soggetti esaminati con tale strumentazione hanno mostrato delle consistenti anormalità collocate nella stessa regione del cervello. Lo studio in questione ha anche permesso di osservare che i sintomi sperimentati da pazienti con elettrosensibilità rispecchiavano quelli di pazienti che avevano avuto esposizione a lungo termine a sostanze chimiche neurotossiche.

La risonanza magnetica nucleare funzionale può aiutare a diagnosticare l’elettrosensibilità. (fonte: Heuser, 2017)

In effetti, otto della decina di soggetti avevano avuto una tale esposizione nel loro passato, e solo anni dopo hanno iniziato a soffrire di sintomi neurologici (disabilità cognitive, mal di testa, tremori e altri), i quali sono iniziati dopo l’esposizione alle radiazioni dovute a campi elettromagnetici, e solitamente tali sintomi sono diminuiti dopo essersi allontanati dalla fonte di tali campi elettromagnetici.

Ciò suggerisce che le sostanze chimiche neurotossiche e le radiazioni elettromagnetiche possano aggravare gli effetti reciproci. Non stupisce, dunque, a questo punto, il fatto che una percentuale significativa delle persone con intolleranza elettromagnetica auto-diagnosticata manifestino intolleranza a bassi livelli di esposizione chimica, ovvero siano affetti dalla cosiddetta “Sensibilità Chimica Multipla” (MCS).

Poiché tutte le scansioni di risonanza magnetica ottenute nella ricerca citata in precedenza erano anormali con anomalie che erano coerenti e simili, gli autori del lavoro hanno proposto che le scansioni cerebrali con risonanza magnetica funzionale siano usate come ausilio diagnostico per determinare in modo oggettivo se un paziente ha o meno un’ipersensibilità elettromagnetica, cioè se sia elettrosensibile.

Si noti come gli stessi autori raccontino di avere, nel corso degli anni, assistito a un numero crescente di pazienti che avevano sviluppato sintomi multisistemici dopo ripetute esposizioni a campi elettromagnetici a lungo termine. Questi disturbi includevano mal di testa, problemi cognitivi e di memoria intermittenti, disorientamento intermittente e anche sensibilità all’esposizione a campi elettromagnetici. In questi pazienti, i normali esami di laboratorio erano risultati entro i limiti normali.

Un’altra cosa degna di nota che risulta dalla medesima pubblicazione scientifica è che sette dei dieci soggetti sottoposti a risonanza magnetica avevano vissuto o lavorato in prossimità di grandi quantità di campi elettromagnetici: ad es. uno era un controllore del traffico aereo, un altro lavorava con linee elettriche ad alta tensione e un altro viveva a circa 500 metri da una torre di telefonia cellulare.

Le stazioni radio base della telefonia mobile sono spesso causa di insorgenza dell’elettrosensibilità nelle persone, specie se poste vicine alle case.

Infine, ricordiamo che i possibili effetti sanitari dell’esposizione alle onde elettromagnetiche sono, fondamentalmente, di tre tipi: effetti a breve termine (1-elettrosensibilità) ed effetti a lungo termine, che includono (2) tumori e (3) altre patologie croniche (ad esempio, infertilità e malattie neurodegenerative, solo per citarne un paio). Pertanto, nei prossimi anni non occorrerà monitorare in modo assai attento e oggettivo soltanto il trend dell’elettrosensibilità, ma anche quelli dei tumori correlati (cervello, mammella, leucemie, cuore, etc.) e di altre patologie croniche.

Ai fini di tale monitoraggio, un prezioso aiuto nella diagnosi di elettrosensibilità con criteri oggettivi può venire dall’uso di idonei biomarcatori. Infatti, gran parte della controversia sul riconoscimento ufficiale, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dell’elettro-ipersensibilità (EHS) e della sensibilità chimica multipla (MCS) come malattie risiedeva nell’assenza, in entrambi i casi, di criteri clinici riconosciuti e di biomarcatori obiettivi per una diagnosi ampiamente accettata.

Come mostrato qualche anno fa da un importante studio francese (Belpomme et al., 2015), esaminando prospetticamente – clinicamente e biologicamente – 1216 casi di pazienti che avevano auto-segnalato elettro-ipersensibilità (EHS) e/o sensibilità chimica multipla (MCS), i dati suggeriscono fortemente che entrambe le patologie possono essere caratterizzate in modo oggettivo e diagnosticate con procedure di routine mediante test semplici di laboratorio disponibili in commercio.

I principali biomarcatori della elettrosensibilità. (fonte: Belpomme, 2015)

Il 71,6% dei pazienti esaminati dallo studio in questione sono stati diagnosticati con elettro-ipersensibilità (EHS), il 7,2% con MCS e 21,2% con entrambe. Due pazienti su tre con EHS e/o MCS erano di sesso femminile e l’età media era di 47 anni. Poiché l’infiammazione sembra essere un processo chiave risultante dal campo elettromagnetico e/o da effetti chimici sui tessuti, e il rilascio di istamina è potenzialmente un importante mediatore dell’infiammazione, è stata sistematicamente misurata l’istamina nel sangue di pazienti.

Circa il 40% dei pazienti esaminati ha avuto un aumento dell’istaminemia (soprattutto quando erano presenti entrambe le patologie), indicando che in questi pazienti è possibile rilevare una risposta infiammatoria cronica. Lo stress ossidativo fa parte dell’infiammazione ed è un fattore chiave per il danno e la risposta. Inoltre, la comune co-occorrenza di elettro-ipersensibilità (EHS) e sensibilità chimica multipla (MCS) suggerisce fortemente un meccanismo patologico comune.

Tutti possiamo diventare all’improvviso elettrosensibili

Secondo questionari distribuiti nei Paesi Bassi, in Finlandia e in Giappone, la stragrande maggioranza di coloro che hanno sofferto di sintomi di ipersensibilità elettromagnetica (EHS) erano donne: 68%, 81% e 95%, rispettivamente. Dunque, il sesso può essere considerato un fattore di rischio. Perché le donne sembrano avere maggiori possibilità di diventare sensibili ai campi elettromagnetici? Pochi studi sono stati condotti su questo aspetto, e c’è ancora molto che non capiamo.

Tuttavia, sappiamo da tempo che alcune patologie mediche tendono a influenzare un genere più di un altro. Ad esempio, gli uomini hanno il doppio delle probabilità di morire di malattia al fegato e quasi tre volte più probabilità di morire di AIDS rispetto alle donne. Al contrario, il 90 percento dei pazienti con lupus è di sesso femminile. Quindi, può essere che le differenze biologiche tra uomini e donne, forse legate a differenze cromosomiche o in questo caso alla differente proporzione dell’acqua nel corpo, lascino quest’ultimo gruppo con una maggiore predisposizione alla sensibilità ai campi elettromagnetici.

Ad ogni modo, davvero tutti possiamo diventare all’improvviso elettrosensibili. La stessa Gro Harlem Brundtland, ex primo ministro norvegese e già direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2002 ha fatto “outing”, affermando pubblicamente di soffrire di ipersensibilità elettromagnetica (EHS) da anni. Ma, nonostante il suo ruolo all’OMS (fu costretta a dimettersi l’anno dopo), non è riuscita a far considerare questa una malattia riconosciuta ufficialmente. In effetti, il problema della ipersensibilità elettromagnetica è oggi principalmente politico: mette i malati dall’altra parte rispetto all’industria della telefonia mobile ed ai governi che traggono profitto dal leasing delle frequenze.

La signora Brundtland, la donna elettrosensibile di maggior spicco.

Ma anche i maschi non sono al sicuro. Il dott. Orio, 54 anni, ci ha raccontato il suo caso personale: “Non uso più il cellulare da vent’anni e anche mia moglie lo usa solo quando non ci sono. Un giorno del 1999, infatti, prendo il cellulare che squilla, lo porto alla testa e subito lo allontano per il fastidio, domandandomi: cosa cavolo ho? Avevo un’alterazione della sensibilità cutanea, parestesie, mal di testa, vertigini, nausea, arrossamento della pelle del collo. A me tutto questo è venuto dopo soli 3 anni di abuso del cellulare e di esposizione ai relativi campi elettromagnetici, magari a un altro viene dopo 10 anni”.

Infatti, tutti gli esseri umani sono organismi elettrochimici. Il cervello, il cuore e l’intestino sono sistemi di organi attivati ​​elettricamente e chimicamente, per non parlare dei canali ionici regolati dalla tensione presenti sulle membrane cellulari, in cui un segnale elettrico può far sì che delle sostanze chimiche entrino nella cellula modificandone la sua funzione. In quanto tali, siamo tutti “elettrosensibili”. I campi elettromagnetici che possono indurre una reazione nelle cellule e nei delicati meccanismi elettromediati del nostro corpo includono campi elettrici e magnetici a bassa frequenza, distorsioni a media frequenza dell’elettricità domestica (“elettricità sporca”) e onde radio ad alta frequenza.

Il termine “ipersensibilità elettromagnetica” (EHS) è quindi riservato a un sottogruppo di persone che hanno sviluppato un’ipersensibilità patologica, spesso come risultato di qualche evento o esposizione di attivazione, sia essa elettrica, chimica, infettiva o fisica. Esistono anche delle differenze genetiche individuali che possono influenzare lo sviluppo e/o la gravità dell’elettrosensibilità. Le persone con ipersensibilità elettromagnetica più grave possono diventare a quel punto sintomatiche ai livelli di campo elettromagnetico che si trovano comunemente nella maggior parte delle case e degli edifici moderni.

Con il 5G sarà quasi impossibile trovare una zona pubblica libera da elettrosmog.

Il 76% degli intervistati di un sondaggio svolto in Finlandia fra persone con sintomi di ipersensibilità elettromagnetica (EHS) hanno affermato che la riduzione o l’elusione dei campi elettromagnetici ha contribuito al loro recupero totale o parziale. Tra quelli di un sondaggio giapponese analogo, circa l’85% hanno dovuto adottare misure per proteggersi dai campi elettromagnetici, come spostarsi in un’area con poche fonti di radiazioni o acquistare apparecchi a bassa emissione di campi elettromagnetici. La ricerca di una “Free Electrosmog Zone” è dunque di vitale importanza per gli elettrosensibili.

Per questo motivo, nel 2014 la “Rete Elettrosmog-Free Italia” ha inoltrato al Ministero del Lavoro un “Dossier sull’elettrosensibilità”, con l’obiettivo di inserire la disabilità ambientale dovuta a campi elettromagnetici in quelle valutate dall’Osservatorio sulle disabilità, e richiedendo l’istituzione, in tutti i Comuni italiani, di aree con valori ridotti di inquinamento elettromagnetico (per le basse frequenze 0,01 μT e 0,5 V/m, per le radiofrequenze 0,05 V/m e 0,1 μW/m2) anche per scuole, ospedali e case di cura, così come di “zone bianche” da individuare nelle aree naturali protette regionali.

Una donna elettrosensibile mostra l’intensità del campo elettrico di fondo nella sua casa, che è quasi di 1 V/m, cioè come se parlasse al telefonino h24.

Le stanze in cui vivono gli elettrosensibili sono facilmente riconoscibili perché di solito sono in parte o del tutto rivestite di carta stagnola, in particolare le porte, mentre alle finestre e intorno al letto troviamo in genere delle specie di zanzariere composte in realtà da una comune rete metallica a maglia fine. Alcuni nascondono lo strato di stagnola sotto la carta da parati. In molti casi, la stanza è completamente isolata, i suoi bordi sono sigillati con la carta stagnola e collegati fra loro e poi a un filo conduttore in modo da poter “collegare a terra” l’intera stanza. Gli elettrosensibili, poi, spesso indossano delle protezioni per il viso in maglia metallica, che ricordano un po’ quelle usate dagli apicoltori.

I sintomi dell’elettrosensibilità si possono manifestare anni dopo l’esposizione: ad esempio, 3, 10, 15 anni dopo. Ma, una volta che l’elettro-ipersensibilità (EHS) si è sviluppata, in base ai questionari compilati dagli elettrosensibili è risultato che i dispositivi wireless domestici – come computer portatili, telefoni cellulari e televisori, e persino lampadine fluorescenti (ma, a sorpresa, non più le stazioni radio base della telefonia mobile o altre fonti outdoor con alte emissioni) sono stati la causa dei loro maggiori problemi quotidiani.

La crescita pressoché esponenziale del campo elettromagnetico di fondo nella regione delle microonde, mostrata in questa figura nelle aree urbane, faciliterà il boom dell’elettrosensibilità e di possibili altre patologie a lungo termine.

Oltre la metà degli intervistati con sintomi di elettro-ipersensibilità (EHS), in un sondaggio svolto nei Paesi Bassi, hanno riferito che “almeno una volta gli è stato diagnosticato di essere affetti da una fra le seguenti patologie: sensibilità chimica multipla (MCS), sindrome da stanchezza cronica, fibromialgia, burnout o altri disturbi psicosomatici invalidanti. Diversi altri intervistati hanno riferito di essere stati sensibilizzati da fattori ambientali come odori, luce solare, polline, sostanze chimiche, medicinali, sostanze nutritive, additivi alimentari, etc.”. In altre parole, inizialmente le cellule hanno resistito con le loro risorse endogene agli attacchi, ad esempio, degli allergeni esterni o dei campi elettromagnetici esterni, ma a un certo punto queste risorse sono venute meno e nell’organismo si è rotto l’equilibrio.

La sconcertante testimonianza di un ragazzo 

In occasione del Convegno “Stop 5G” svoltosi a Vicovaro (Roma) il 2 marzo 2019, Paolo Orio ha letto una toccante e molto significativa lettera scelta fra le tante che giungono ogni giorno all’Associazione Italiana Elettrosensibili. L’ha scritta Antonio, un ragazzo di 15 anni (“il nome è di fantasia, ma tutto il resto è vero”, ha tenuto a precisare Orio):

“[..] Da circa due mesi ho alcuni sintomi molto fastidiosi che non mi permettono di avere una giornata normale. I sintomi sono molteplici, ma per prima cosa ho una forte cefalea e una perdita di sensibilità nella parte sinistra del capo. Per questo mi sono recato per ben due volte al Pronto Soccorso. Lì pensavano che i sintomi fossero legati alla mononucleosi, contratta nei mesi precedenti. Mi hanno prescritto d’urgenza una risonanza magnetica nucleare. Dopo l’esame mi sono accorto che la mia pelle era diventata di colore rosso fuoco, acceso. La neurologa mi ha detto che non era nulla di grave. Tuttavia, da circa due settimane, quando prendo in mano il mio smartphone provo delle scosse elettriche che mi percorrono tutto il braccio partendo dalle dita, non rendendomi possibile a lungo l’utilizzo. In concomitanza con le scosse, la cefalea peggiora. La notte non riesco a dormire, perché provo scosse elettriche in tutto il corpo e spasmi muscolari che mi fanno ballare sul letto, e la cefalea peggiora progressivamente. Riesco a dormire solo 3 ore a notte, non permettendomi di concentrarmi a dovere a scuola e durante le lezioni, dove è presente il Wi-Fi. Il Wi-Fi è presente anche in casa mia. [..]”.

Questo articolo è dedicato a tutte le persone elettrosensibili, persone comuni giovani e anziane come noi che, diventate tali da un giorno all’altro, si sono tolte la vita a causa della loro condizione insopportabile, ignorata dai media e dal mondo medico ufficiale ma sempre più diffusa essendo sostanzialmente legata al numero di antenne, in crescita continua.

 

Riferimenti bibliografici

  1. Hallberg O. e Oberfeld G., “Letter to the Editor: Will We All Become Electrosensitive?”, Electromagnetic Biology and Medicine, 2006, http://www.next-up.org/pdf/EHS2006_HallbergOberfeld.pdf
  2. Gori C., “The Sentinels: Electrosensitivity in Italy”, LensCulture, https://www.lensculture.com/articles/claudia-gori-the-sentinels-electrosensitivity-in-italy
  3. Heuser G. e Heuser S.A., “Functional brain MRI in patients complaining of electrohypersensitivity after long term exposure to electromagnetic fields”, Reviews on Environmental Health, 2017, https://www.degruyter.com/view/j/reveh.2017.32.issue-3/reveh-2017-0014/reveh-2017-0014.xml
  4. Cell Phone Masts and Electromagnetic Electrosensitivity, 2008, https://www.stopumts.nl/pdf/Cell-phone-masts-and-Electromagnetic-Hypersensitivity[1].pdf
  5. “Warning: High Frequency”, Earth Island Journal, http://www.earthisland.org/journal/index.php/magazine/entry/warning_high_frequency/
  6. Schreier N. et al., “The prevalence of symptoms attributed to electromagnetic field exposure: a cross-sectional representative survey in Switzerland”, Soz Praventiv Med, 2006, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17193782
  7. Rea W.J., “Electromagnetic Field Sensitivity”, Journal of Biolectricity, 1991, https://aehf.com/articles/em_sensitive.html
  8. Belpomme D. et al., “Reliable disease biomarkers characterizing and identifying electrohypersensitivity and multiple chemical sensitivity as two etiopathogenic aspects of a unique pathological disorder” , Rev. Environ. Health, 2015, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26613326

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