In questo articolo illustreremo alcune delle fonti artificiali di inquinamento radioattivo che possono contribuire alla radiazione ionizzante di fondo solo a livello locale, e che sono in generale rilevabili solo con strumenti di misura di livello adeguato. Le principali fonti artificiali che contribuiscono alla radiazione di fondo a livello globale oppure personale sono invece illustrate in un altro articolo.
Ricordiamo che gli effetti dell’esposizione a basse dosi di radioattività – come i tumori solidi e le leucemie, tanto per fare due esempi comuni – sono “stocastici”, ovvero solo una piccola o piccolissima parte (a seconda delle dosi) delle persone esposte sviluppa la malattia dopo un certo numero di anni. Quindi, con uno studio epidemiologico si può evidenziare il numero di casi in eccesso e prematuri rispetto al livello di incidenza di fondo, su una popolazione di riferimento, per quella data malattia.
Poiché la radioattività a basse dosi è generalmente associata a malattie che non vengono rilevate fino a molti anni dopo l’esposizione, taluni sottovalutano i rischi ad essa connessi, specie se l’esposizione è più elevata o prolungata nel tempo. L’unico modo per stimare il livello di rischio specifico è quello di misurare in situ il livello di radiazioni ionizzanti associato alla fonte inquinante, oltre che – a posteriori – quello di effettuare seri studi epidemiologici sulle persone che sono state più esposte.
Smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi
L’industria del nucleare è quella che si occupa del ciclo dei materiali e dei combustibili nucleari per applicazioni civili (centrali nucleari, usi ospedalieri, centri di ricerca, etc.) e militari: dalla produzione fino al corretto smaltimento, nonché della gestione degli stessi, ad esempio nelle centrali nucleari. La principale preoccupazione ambientale ad essa legata – incidenti a parte – è la creazione di rifiuti radioattivi come i cascami di uranio, il combustibile esausto usato dai reattori nucleari, e altri residui.
I rifiuti radioattivi sono classificati in rifiuti a basso livello o rifiuti ad alto livello. La radioattività in questi rifiuti può variare da livelli appena superiori ai livelli di fondo naturali fino a livelli molto più alti, come nel combustibile usato nel reattore o nelle parti all’interno di un reattore nucleare. Tali materiali possono rimanere radioattivi e pericolosi per la salute umana per migliaia di anni, pertanto devono essere stoccati in siti idonei attraverso opportune procedure di smaltimento.
Talvolta alcuni rifiuti contenenti materiali radioattivi – tipicamente, quelli di origine ospedaliera – sono stati smaltiti in modo illecito, provocando una seria contaminazione ambientale. È il caso, ad esempio, di quanto accaduto con i rifiuti speciali pericolosi sversati illecitamente in varie zone della tristemente famosa “Terra dei Fuochi”, in Campania, i quali hanno raggiunto in molti casi la falda acquifera e provocato, in vaste aree di territorio, gravi conseguenze sulla salute della popolazione residente.
Il problema di questo inquinamento radioattivo è spesso aggravato dalla difficoltà di valutare i suoi effetti sulla salute umana. I rifiuti radioattivi, ad esempio, possono diffondersi su un’ampia area abbastanza rapidamente e irregolarmente (ad es. da una discarica di rifiuti radioattivi abbandonata in prossimità di una falda acquifera), e non possono mostrare completamente gli effetti sugli esseri umani e sugli organismi se non nell’arco di decenni, sotto forma di cancro o di altre malattie croniche.
Le centrali a carbone
Le centrali a carbone emettono radiazioni sotto forma di ceneri volanti radioattive che vengono inalate e ingerite dalle popolazioni vicine e incorporate nelle colture. Un documento del 1978 del prestigioso Laboratorio Nazionale di Oak Ridge (ORNL), negli Stati Uniti, ha stimato che le centrali elettriche a carbone di quell’epoca potrebbero contribuire all’inquinamento radioattivo locale con una dose totale di 19 μSv/anno per i residenti più vicini in un raggio di 500 m dall’impianto.
Il problema è rappresentato dall’uranio e dal torio contenuti nel carbone, essendo entrambi elementi radioattivi. Quando il carbone viene bruciato e produce cenere, uranio e torio vengono concentrati a 10 volte i loro livelli originali. Queste ceneri talvolta finiscono nel suolo e nell’acqua che circondano l’impianto – magari in un orto o un vigneto – e, a loro volta, nel cibo. Le persone che vivono in un raggio di circa 0,8-1,6 km dalla centrale potrebbero in tal caso ingerire piccole quantità di radiazioni.
Tuttavia, molti autori sottolineano che altri prodotti delle centrali a carbone – come le emissioni di biossido di zolfo che producono piogge acide e l’ossido di azoto che forma lo smog – costituiscono rischi maggiori per la salute rispetto alle radiazioni. In effetti, secondo i calcoli dello U.S. Geological Survey (USGS), l’acquisto di una casa entro un raggio di un chilometro da un impianto di carbone aumenta la quantità annuale di radiazioni a cui si è esposti per un massimo del 5%.
Allora perché i rifiuti delle centrali a carbone appaiono così radioattivi? È una questione di confronto, come spiega Dana C. Christensen, dell’ORNL: “le probabilità di sperimentare effetti negativi sulla salute derivanti dalle radiazioni sono piccoli sia per le centrali nucleari che per le centrali a carbone: sono solo un po’ più alti per quelle a carbone. Si sta parlando di una probabilità su un miliardo per le centrali nucleari, e di una su dieci milioni o una su cento milioni per quelle a carbone”, cioè 10-100 volte più alta.
Armi all’uranio impoverito
Le armi all’uranio impoverito sono state sviluppate dagli Stati Uniti negli anni ’70, poiché l’esercito sovietico aveva sviluppato una corazza per i carri armati che le munizioni della NATO non potevano penetrare. Il Pentagono ha cominciato a cercare materiali per fare proiettili più forti della corazza e ha scelto quelli basati sull’uranio impoverito. Quest’ultimo è un prodotto di scarto altrimenti inutilizzabile dell’industria che produce le bombe nucleari, e il suo uso costituisce una sorta di “riciclaggio”.
I militari statunitensi e della NATO hanno utilizzato armi all’uranio impoverito nella guerra del Golfo del 1991, nella guerra in Bosnia, nei bombardamenti della Serbia, nell’invasione dell’Iraq del 2003, e nei più recenti attacchi aerei contro l’ISIS in Siria. Si stima che nella sola guerra del Golfo del 1991 siano state utilizzate tra le 315 e le 350 tonnellate di uranio impoverito.
L’uranio impoverito è l’uranio con un contenuto inferiore dell’isotopo fissile U-235 rispetto all’uranio naturale, ed è pertanto meno radioattivo. L’uranio-238, meno radioattivo e non fissile, costituisce la componente principale dell’uranio impoverito. L’uranio impiegato nelle munizioni statunitensi ha il 60% della radioattività dell’uranio naturale. L’uso dell’uranio impoverito nelle munizioni è controverso a causa delle preoccupazioni circa i suoi potenziali effetti sulla salute a lungo termine.
Il normale funzionamento del rene, del cervello, del fegato, del cuore e di numerosi altri sistemi può essere influenzato dall’esposizione all’uranio, un metallo anche tossico. L’aerosol o la polvere prodotta dall’impatto e dalla combustione di munizioni dell’uranio impoverito possono potenzialmente contaminare aree ampie intorno ai siti d’urto, causando eventuali inalazioni da parte degli esseri umani.
Il livello effettivo di tossicità acuta e cronica dell’uranio impoverito è controverso. Diversi studi che utilizzano cellule in vitro e topi di laboratorio suggeriscono la possibilità di effetti leucemogeni, genetici, riproduttivi e neurologici da esposizione cronica. Come se non bastasse, un articolo di rassegna del 2005 ha concluso: “Nel complesso, l’evidenza epidemiologica umana è coerente con un aumento del rischio di difetti alla nascita nella prole di persone esposte all’uranio impoverito”.
I materiali da costruzione radioattivi
Alcuni materiali da costruzione possono emanare radon per diffusione (esalazione) all’interno di un edificio, se sono ricchi di elementi radioattivi progenitori appartenenti alla serie naturale dell’uranio-238 e sono porosi al gas. Inoltre, se i materiali da costruzione contengono rocce tal quali ricche di radionuclidi naturali – come ad es. i tufi ed i graniti – o contengono “inerti” o “leganti” di origine vulcanica (ad es. la pozzolana negli intonaci), hanno anch’essi una radioattività di origine naturale.
I materiali in pietra arenaria, in calcestruzzo, in mattoni, in pietra naturale, in gesso e in granito contengono elementi radioattivi naturali come il radio, l’uranio e il torio. Questi elementi naturali possono rompersi o decadere nel radon, un pericoloso gas radioattivo. A seconda della quantità di questi materiali presenti, possono causare piccoli aumenti dei livelli di radiazione. Le quantità – o dosi – della radiazione nei materiali da costruzione dipendono dal tipo e dalle quantità dei materiali utilizzati.
Radioattività tipica di alcuni materiali da costruzione (tratta da A. Calandra, “Le misure radiometriche sui materiali da costruzione”).
Nella maggior parte dei casi, i livelli di radioattività dei materiali radioattivi presenti nei materiali da costruzione sono molto bassi. Questi bassi livelli fanno sì che le radiazioni da loro emesse è improbabile che provochino conseguenze sulla salute umana. In alcuni casi, il gas radon radioattivo può venire rilasciato dai materiali da costruzione ed in tal caso potrebbe essere necessario adottare delle opportune misure per proteggere se stessi e chi abita negli edifici realizzati con essi.
Di fatto, né il tasso di dose assorbita (o intensità della dose) in aria dovuta alla radiazione gamma e alla concentrazione dell’attività del radon sono in generale trascurabili negli ambienti chiusi. Per questo, alcuni ricercatori hanno suggerito il calcolo di un indice I per limitare la concentrazione dell’attività dei radionuclidi naturali nei materiali da costruzione – la quale è mediamente abbastanza differente anche da un Paese all’altro – prendendo in considerazione la radiazione gamma.
Oggi, poi, alla radioattività naturale di alcuni materiali da costruzione si aggiunge la possibile contaminazione – volontaria o involontaria – dei materiali da costruzione con scorie radioattive, e ciò per effetto dello smaltimento dei rifiuti radioattivi al di fuori della normativa vigente. Quest’ultimo rischio è molto difficile da valutare a priori, e può essere stimato quantitativamente con misure in loco, effettuate da professionisti all’interno dell’edificio, con una strumentazione apposita.
Riferimenti bibliografici
- Coal ash is more radioactive than nuclear waste, https://www.scientificamerican.com/article/coal-ash-is-more-radioactive-than-nuclear-waste
- Depleted uranium, https://en.wikipedia.org/wiki/Depleted_uranium
- A. Calandra, “Le misure radiometriche sui materiali da costruzione”, https://www.arpa.umbria.it/resources/documenti/radiazioni_ionizzanti/Calandra.pdf
- Trevisi R. et al., “Radioactivity in Building Materials: a first Overview of the European Scenario”, http://irpa12.org.ar/fullpapers/FP3464.pdf