Oggi è possibile misurare i livelli di numerosi inquinanti indoor con monitor domestici del costo di appena qualche decina di euro. Ma occorre avere dei livelli di riferimento per i vari inquinanti monitorati, per poter interpretare correttamente le letture fornita da questi strumenti.
Inoltre, dato che questi apparecchi economici per la misura della qualità dell’aria potrebbero non essere ben calibrati – e quindi non dare valori assoluti troppo vicini alla realtà – spesso è più utile usarli in modalità comparativa, cioè per confrontare il rapporto fra il livello indoor e outdoor di un determinato inquinante (a questo scopo, possono quindi essere più utili i modelli alimentabili via USB). Perciò, ora discuteremo la questione per i singoli inquinanti eccetto il radon, trattato nell’Inquinamento Radioattivo.
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Ad esempio, il particolato fine (PM2.5) deve essere, normalmente, inferiore in casa rispetto all’esterno. Avere un livello interno maggiore di quello esterno, indica una forte fonte interna di PM2.5 che deve essere affrontata. In tali casi, gli sforzi mirati per identificare e rimuovere le fonti interne di PM2.5 sono una priorità. Il rapporto tra i livelli di PM2,5 interni ed esterni può quindi servire a evidenziare le situazioni in cui le strategie per ridurre il PM2,5 indoor sono necessarie e risultano più efficaci.
Particolato indoor (PM2.5)
L’inquinamento dell’aria esterna sotto forma di particolato non si ferma alle nostre porte o finestre, riuscendo peraltro facilmente a infiltrarvisi. In effetti, in tutti i nostri spazi indoor si trovano fonti aggiuntive di particolato: dalle sostanze chimiche nei prodotti per la pulizia, ai prodotti per l’edilizia, ai mobili e ai tappeti, ai peli di animali domestici, alle muffe, ai batteri, agli acari della polvere.
I livelli di particolato indoor e delle sue principali frazioni (PM10 e PM2.5) dipendono da diversi fattori, tra cui i livelli esterni (outdoor), le infiltrazioni, i tipi di sistemi di ventilazione e di filtrazione utilizzati, le fonti interne e le attività personali degli occupanti. Ad ogni modo nelle case senza fumo o altre forti fonti di particelle, il particolato indoor dovrebbe essere uguale o inferiore ai livelli esterni.
Il PM2,5 interno è composto da PM2,5 generato al chiuso da fonti quali fumo, cottura e pulizia e PM2.5 che si è infiltrato dall’esterno. Le particelle di PM2,5 sono così piccole da costituire un potenziale pericolo per la nostra salute. Perciò, negli Stati Uniti, lo standard a breve termine (24 ore o media giornaliera) per il PM2.5 è di 35 μg/mc di aria e lo standard a lungo termine (media annuale) è 15 μg/mc.
Negli studi condotti in diverse città canadesi, le concentrazioni medie di PM2,5 indoor sono risultate inferiori a 15 μg/mc nelle case senza fumatori e inferiori a 35 μg/mc nelle case con fumatori. Invece, uno studio effettuato su 10 luoghi di lavoro situati su strade trafficate di Dublino ha rilevato che le concentrazioni di PM2,5 erano significativamente maggiori indoor che all’aperto.
Oggi sappiamo, dagli studi sulle conseguenze per la salute, che occorre ridurre al minimo l’esposizione a lungo termine al PM2.5 al chiuso. I livelli indoor di PM2,5 devono quindi essere mantenuti quanto più bassi possibile (ad es. non fumando, usando un aspiratore per i fumi della cucina, etc.), poiché non esiste una soglia apparente per essere al riparo dagli effetti sulla salute del PM2.5.
È impossibile eliminare completamente il PM2.5 in ambienti chiusi, poiché le sue fonti sono attività essenziali e quotidiane, come il cucinare e il pulire, nonché le infiltrazioni da fonti esterne, su cui i residenti hanno poco o nessun controllo. Tuttavia, qualsiasi riduzione del PM2.5 dovrebbe comportare benefici per la salute, in particolare per le persone sensibili, come malati, anziani o bambini.
Composti organici volatili (COV)
I Composti Organici Volatili (COV) sono costantemente più alti indoor, spesso fino a 10 volte più alti dei livelli misurati outdoor. Gli studi hanno rilevato che i livelli di una dozzina di diversi prodotti organici sono in media da 2 a 5 volte più alti in ambienti chiusi come le case rispetto a quelli all’aperto, e ciò sia in zone rurali che industriali. Durante e per diverse ore dopo determinate attività, come la sverniciatura, i livelli possono essere addirittura 1.000 volte più alti dei livelli di fondo all’aperto.
Lo US Green Building Council (USGBC) suggerisce che livelli di COV superiori a 500 ng/L (o μg/mc) di VOC potrebbero rappresentare un rischio per la salute nelle case. Tuttavia, i dati di migliaia di case testate negli USA mostrano che il valore medio è di 1.200 ng/L, più del doppio del livello raccomandato. Tuttavia, l’approccio migliore per proteggersi dagli effetti dannosi è limitare l’esposizione ai VOC.
Infatti, anche livelli leggermente elevati di queste sostanze chimiche presenti nell’aria potrebbero produrre problemi di salute per le persone, in particolare i bambini, gli anziani, le donne incinte e coloro che soffrono di allergie e asma. L’esposizione a lungo termine di una persona sana a livelli elevati di VOC, inoltre, provoca danni al fegato, ai reni, cancro, danni al sistema nervoso centrale.
D’altra parte, poiché la maggior parte degli studi sulla salute sono condotti su singole sostanze chimiche, non si sa molto sugli effetti sulla salute dell’esposizione alla combinazione di sostanze chimiche, ovvero ai cosiddetti “cocktail”. Poiché i livelli di tossicità sono diversi per ogni singolo composto organico volatile, non esistono standard – o livelli rccomandati – basati sulla salute per i VOC come gruppo.
Ad ogni modo, le seguenti tabelle mostrano le potenziali reazioni a vari livelli di VOC. Le reazioni descritte si basano sul lavoro svolto da L. Molhave (“Volatile Organic Compounds, Indoor Air Quality and Health”, Vol. 5, International Indoor Air Quality Conference, Toronto, Canada, 1990, p. 22 e segg.). Questi dati, però, non dovrebbero, in alcun modo, essere interpretati come definitivi.
Pertanto, si declina ogni responsabilità sul fare affidamento sui dati contenuti nelle tabelle precedenti. Inoltre, questi livelli sono applicabili a individui normali, non a individui chimicamente sensibili. Naturalmente, i livelli “tollerabili” di VOC relativi ad ambienti industriali (produzione/manifattura) sono diversi, e per quelli è bene fare riferimento ai limiti previsti dalle legislazioni nazionali.
Formaldeide (CH2O)
La formaldeide è un noto cancerogeno per l’uomo sulla base di sufficienti studi sull’inalazione umana e animale, ed è uno dei VOC più facili da misurare con sensori o monitor specifici acquistabili online con una spesa assolutamente modesta, oppure con monitor – sempre low-cost (alcune decine di euro, se acquistati dalla Cina) – che misurano anche altri comuni inquinanti indoor.
L’aria indoor contiene livelli più elevati di formaldeide rispetto all’aria esterna. I livelli di formaldeide misurati indoor vanno da 0,02 a 4 parti per milione (ppm). I livelli di formaldeide outdoor, invece, vanno da 0,0002 a 0,006 ppm nelle zone rurali e suburbane e da 0,001 a 0,02 ppm nelle aree urbane. La massima esposizione potenziale si verifica nell’industria delle resine a base di formaldeide.
Case o uffici che contengono prodotti che rilasciano formaldeide nell’aria possono avere livelli di formaldeide superiori a 0,03 ppm. Nelle case con quantità significative di nuovi prodotti in legno, i livelli possono essere superiori a 0,3 ppm. La tabella qui sotto costituisce il riepilogo dei livelli di formaldeide rilevati in ambienti residenziali in diversi stati degli USA.
La formaldeide può influenzare la propria salute. Negli uomini respirando da 0,1 a 0,5 ppm sono stati osservati irritazione nasale e oculare, effetti neurologici e aumento del rischio di asma e/o allergia. Eczema e cambiamenti nella funzione polmonare sono stati osservati a 0,6-1,9 ppm. Diminuzione del peso corporeo, ulcere gastrointestinali, danni al fegato e ai reni sono stati osservati negli animali esposti per via orale a formaldeide da 50-100 milligrammi/chilogrammo al giorno.
Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la concentrazione di formaldeide nell’aria interna sono 0,08 ppm (0,1 mg /mc). Alcune autorità locali statunitensi raccomandano un “livello di azione” di 0,1 ppm e un “livell obiettivo” di 0,05 ppm o inferiore per le case. La formaldeide è infatti normalmente presente a livelli bassi, in genere inferiori a 0,03 ppm nell’aria indoor.
Biossido di azoto (NO2)
Prima di continuare piccolo reminder: come naturalmente sai le case oggi giorno non sono luoghi sicuri per via di irraggiamenti sempre maggiori e inquinanti di varia natura ( le statistiche ISTAT parlano di oltre 8000 morti all’anno dovute ai rischi presenti nelle abitazioni). Nel caso ti interessi capire rapidamente se sei sottoposto a rischi pericolosi nella tua casa, ti suggerisco questo servizio di controllo rapido delle abitazioni, svolto dal nostro amico ed esperto Walter Bellini. Clicca qui per approfondire.
L’ossido di azoto (NO) e il biossido di azoto (NO2) sono i due principali ossidi di azoto presenti nell’aria associati alle fonti di combustione. Le concentrazioni ambientali di questi due gas variano ampiamente in base alle fonti e ai “pozzi” locali, ma all’esterno possono superare una concentrazione totale (NO + NO2) di 500 μg/mc nelle aree urbane ad alta densità. Si noti che 1 ppm di NO2 = 1,88 mg/mc.
Il 90-95% degli ossidi di azoto viene normalmente emesso come ossido di azoto (NO) e solo il 5-10% come biossido di azoto (NO2). All’esterno, l’ossido di azoto viene rapidamente ossidato nell’aria per formare biossido di azoto grazie agli ossidanti disponibili (come ossigeno, ozono e VOC) e questa rapida velocità di ossidazione è tale che il biossido di azoto viene solitamente considerato un inquinante primario. Nell’aria indoor, tuttavia, questo processo di ossidazione è generalmente molto più lento.
Il traffico stradale è la principale fonte esterna di biossido di azoto. Le fonti interne più importanti includono fumo di tabacco e apparecchi a gas, legna, cherosene e carbone come stufe, forni, scaldabagni e e caminetti, in particolare apparecchi non funzionanti o mal gestiti. Il biossido di azoto all’aperto proveniente da fonti naturali e antropogeniche influenza anche i livelli indoor.
Il livello medio di biossido di azoto nelle case senza apparecchi a combustione utilizzati è circa la metà di quello all’aperto. Invece, nelle case con fornelli a gas, stufe a cherosene o caldaie a gas non ventilate, i livelli indoor di questo gas inquinante spesso superano i livelli esterni (outdoor). Gli ossidi di azoto sono anche nel fumo di tabacco, quindi i fumatori e chi respira il fumo passivo è esposto a livelli più alti.
Gli effetti dell’esposizione ad alti livelli di NO2. Link al documento dell’EPA.
Nel rapporto INDEX del 2005, che ha indagato l’esposizione a inquinanti indoor nell’Unione Europea, le concentrazioni di biossido di azoto erano comprese nell’intervallo 13-62 μg/mc indoor, 27-36 μg/mc sul posto di lavoro, 24-61 μg/mc outdoor e 25-43 μg/mc per quanto riguarda l’esposizione personale. Inoltre, i livelli massimi associati all’uso di apparecchi a gas (cucina e riscaldamento a gas) nelle case europee sono risultati essere compresi nell’intervallo 180-2500 μg/mc.
In uno studio italiano, le maggiori concentrazioni indoor settimanali sono state misurate in un’area rurale del Delta del Po. La concentrazione media settimanale in cucina durante l’inverno era superiore a quella estiva, essendo rispettivamente di 62 μg/mc e 38 μg/mc. Le principali fonti indoor di biossido di azoto nelle case italiane sono l’uso di cucine a gas, l’assenza di un aspiratore durante la cottura, l’assenza di riscaldamento centralizzato, l’uso di un forno a gas e il fumo di sigaretta.
Monossido di carbonio (CO)
Il livello di concentrazione di monossido di carbonio (CO) viene misurato usando un sistema chiamato parti per milione (ppm). I livelli medi di monossido di carbonio nelle case senza stufe a gas variano da 0,5 a 5 parti per milione (ppm). I livelli vicino alle stufe a gas regolate correttamente sono spesso da 5 a 15 ppm e, infine, quelli vicino a stufe con scarsa regolazione possono essere di 30 ppm o più.
La tabella qui sotto mostra gli effetti del monossido di carbonio sulla salute, che sono diversi a seconda della concentrazione. L’espressione 100 ppm di CO significa che per ogni 999.900 molecole di aria, ci sono 100 molecole di CO. Oltre alla misura del livello attuale di concentrazione di monossido di carbonio, un’altra misura comunemente utilizzata è la media ponderata nel tempo (TWA).
Essa misura la tua esposizione media al monossido di carbonio nel tempo, e viene misurata anche in ppm. Ad esempio, se sei stato esposto a una grande dose di CO all’inizio della giornata, ma a nessuna in seguito, il tuo TWA per quel giorno sarebbe stato basso, poiché per gran parte della giornata non avevi esposizione. Se, invece, sei di continuo esposto a 20 ppm di CO durante il giorno, il tuo TWA è di 20 ppm.
Esistono molti limiti di esposizione al monossido di carbonio stabiliti dalle organizzazioni governative. L’American Society of Heating Refrigeration and Air Conditioning Engineers (ASHRAE) elenca un limite massimo consentito di 9 ppm. E l’EPA statunitense ha fissato due standard nazionali di protezione della salute: un TWA di un’ora di 35 ppm e un TWA di otto ore di 9 ppm. Queste norme chiariscono che qualsiasi lettura di monossido di carbonio da 9 ppm in su richiede indagine e azione.
Ozono (O3)
L’ozono indoor è potenzialmente dannoso per la salute umana. La concentrazione indoor di ozono dipende da una serie di fattori, tra cui la concentrazione di ozono all’aperto (outdoor), i tassi di ricambio dell’aria, i tassi di emissione indoor, i tassi di rimozione da parte di superfici (ad esempio con filtri ai carboni attivi), alle reazioni tra ozono e altre sostanze chimiche presenti nell’aria.
Le concentrazioni di ozono all’aperto spesso mostrano forti variazioni diurne, essendo molto legate alla luce solare, e ciò aggiunge un’ulteriore dinamica ai meccanismi di trasporto e chimici in gioco. Pertanto, le concentrazioni di ozono indoor possono variare significativamente da un’ora all’altra, giorno per giorno e stagione per stagione, nonché da stanza a stanza e da edificio a edificio.
In condizioni normali, l’emivita dell’ozono in ambienti chiusi è compresa tra 7 e 10 minuti ed è determinata principalmente dalla rimozione da parte di superfici (ad es. da opportuni filtri) e dallo scambio d’aria. Infatti, sebbene le reazioni tra l’ozono e la maggior parte degli altri inquinanti indoor siano favorevoli dal punto di vista termodinamico, nella maggior parte dei casi sono piuttosto lente.
Le concentrazioni indoor di ozono sono solitamente inferiori alle concentrazioni esterne, e inferiori o simili alle concentrazioni di esposizione personale. Ciò fatto salvo il caso in cui siano rilevanti le fonti di ozono al chiuso, che includono i generatori di ozono (cioè i dispositivi venduti come purificatori d’aria domestici che producono intenzionalmente ozono), alcuni altri tipi di depuratori d’aria che rilasciano ozono come sottoprodotto, e le apparecchiature da ufficio come stampanti e fotocopiatrici.
Uno studio recente ha valutato gli effetti dell’esposizione all’ozono per 6,6 ore negli adulti sani a una gamma di livelli di esposizione (40, 80, 120 ppb) che consente la valutazione di una relazione dose-risposta. In questo studio, non si sono verificati effetti statisticamente significativi al livello di esposizione più basso di 40 ppb rispetto ai soggetti esposti all’aria filtrata; questo livello è quindi considerato il livello senza effetti avversi osservati (il “No Observed Adverse Effect Level”, o NOAEL).
Effetti statisticamente significativi sono stati osservati a livelli di 80 e 120 ppb di ozono, con diminuzioni della funzionalità polmonare e aumento dei sintomi respiratori più importante a 120 ppb rispetto a 80 ppb di O3. Il livello di effetto avverso osservato più basso (“Lower Observed Adverse Effect Level”, o LOAEL) è pertanto considerato pari a 80 ppb di O3 per questa durata dell’esposizione.
Gli esperti raccomandano pertanto un limite massimo di esposizione residenziale di 40 μg/mc (20 ppb) di ozono, sulla base di un tempo medio di 8 ore. Questo limite di esposizione è la metà del NOAEL derivato dallo studio controllato sull’esposizione umana. La concentrazione di riferimento per l’esposizione acuta e prolungata (dunque media) all’ozono è stata invece stimata essere di 8 μg/mc (4 ppb).
Riassunto dei livelli di riferimento per l’esposizione all’ozono.
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Riferimenti bibliografici
- Guidance for fine particulate matter (PM2.5) in residential indoor air, https://www.canada.ca/en/health-canada/services/publications/healthy-living/guidance-fine-particulate-matter-pm2-5-residential-indoor-air.html
- What are safe indoor VOC levels?, http://phoslab.com/voc/what-are-safe-indoor-voc-levels/
- ToxFAQs for Formaldehyde, https://www.atsdr.cdc.gov/toxfaqs/tf.asp?id=219&tid=39
- Indoor air pollution: an evaluation of three agents, http://enhs.umn.edu/current/5103/air/formaldehyde.html
- Nitrogen dioxide, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK138707/
- Kotzias D, et al. The INDEX project. Critical appraisal of the setting and implementation of indoor exposure limits in the EU. Ispra: European Commission Joint Research Centre; 2005
- CO Health Risks, https://www.detectcarbonmonoxide.com/co-health-risks/
- Residential Indoor Air Quality Guideline: Ozone, https://www.canada.ca/en/health-canada/services/publications/healthy-living/residential-indoor-air-quality-guideline-ozone.html
- Ozone in indoor environments: concentration and chemistry, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11089331